Evoluzione interiore e consapevolezza ecologica

Anticamente le manifestazioni della Natura, tanto potenti quanto incontrollabili, sgomentarono i nostri progenitori lasciando loro supporre l’azione di forze divine: il tuono, il lampo, il fuoco improvviso, lo sconvogimento tellurico, il seme di dimensioni infinitesimali che, gettato casualmente nella terra, dava vita ad un arbusto, un ortaggio, un albero in grado di nutrire.CC 2016.07.10 Recupero spazi 002Essere razionale che ha letto Virgilio, Voltaire, Rousseau, Nietzsche, Tolstòj ed altri, percepisco la consapevolezza ecologica come coronamento di un percorso legato alla crescita interiore, che non auspica il ritorno all’età della pietra o al nomadismo raccoglitore ma, all’opposto, intende promuovere un riequilibrio attraverso l’uso responsabile delle attuali conoscenze e delle moderne risorse tecnologiche, imprenditoriali e finanziarie.
Pensiamo a quanto l’evoluzione umana sia speculare alle tappe fondamentali delle nostre vite individuali. Esse iniziano con l’essenziale, l’allattamento, e proseguono con pappine e cibi sempre più elaborati fino a quando, drogate di superfluo, pervengono alle nefandezze sovrastrutturate della nouvelle cuisine, dell’empia mattanza di bovini, ovini, suini, pollame1 finalizzata alla preparazione di brasati e insaccati, cotechini e bistecchine, rognoncini al salto e risotti con l’ossobuco. Come se non bastasse, a latere di tutto questo nel mondo ricco disponiamo di patatine, acque minerali, liquori, biscottini “della nonna”, bibite gassate, snack e junk-food. Con la conseguenza di glicemia alle stelle, problemi cardiovascolari, insorgenze tumorali, tonnellate di monnezza data dai residui di cibo e dalle loro confezioni, depauperamento dell’ambiente perché il nostro geniale Giovannino o l’arguta Melissa possano avere a merenda il panino con prosciutto (cotto, che fa meno male…) e, noi adulti, gamberetti allevati nei loro escrementi e in overdose da farmaci per le nostre salsine oppure il costosissimo caffè, letteralmente, cacato da certi mammiferi esotici. Perché non ho scritto defecato? Perché cacato rende maggiormente l’idea. Mi fermo, nella certezza che in chi legge saranno già affiorati alla mente innumerevoli altri esempi di schifezze.
Osservo spesso come, a parole, siamo tutti compunti e compresi dalla necessità di porre un freno all’autodistruzione galoppante. Nelle minute manifestazioni del quotidiano constato invece con quanta inconsapevolezza ci stiamo allegramente mangiando la Terra (mentre scrivo ho la visione mistica della vignetta dei trinariciuti di Guareschi), e siamo arrivati al torsolo. Quanto al bere nessun problema: innumerevoli circostanze dimostrano come ci siamo ampiamente bevuti il cervello.
Perduta la capacità di provvedere al nostro autosostentamento mediante il ricorso a tecniche appropriate, delegando a macroaziende (che si chiamano infatti agroindustriali) il compito di produrre il nostro cibo, abbiamo altresì smarrito la benché minima facoltà di controllo, autoturlupinandoci con false scientificità, prodotti magici e miracolosi, ecofinzioni: dal seme antico scambiato come se fosse il Gronchi Rosa alla pasta alla carbonara di seitan, dalle fatate bacche di goji al caffè equosolidale, oggetto quest’ultimo di un ignobile sfruttamento di lavoratori come ben argomentò alcuni anni fa un’inchiesta del quotidiano La Repubblica.
Ci trastulliamo nel convincimento che qualche nicchia si sia salvata dalle mani rapaci dell’agrofinanza. È così, ma solo perché ci hanno lasciato un Kinderheim, un parchetto dove giocare con le nostre altalene e i nostri scivoli. E se abbiamo in mente il contadino dal quale il sabato andiamo a fare la spesa, facciamocene una ragione: costui fa parte di una nicchia marginale costantemente borderline, che le multinazionali lasciano sopravvivere al loro strapotere in quanto ininfluente. E comunque anche dal nostro contadino a km zero troviamo ananas e banane. Banane a Cassano d’Adda?
Eravamo poveri, torneremo poveri, è il titolo del bellissimo e terribile libro di Giampaolo Pansa che cito spesso. Da quando abbiamo smesso di crederci poveri abbiamo iniziato a comportarci da nuovi ricchi ma, proprio perché privi della cultura del denaro, facendo qualunque cosa che non ci ricordi i miserabili che fummo: ecco quindi il momento del massimo sviluppo tecnologico e sociale, il momento in cui abbiamo iniziato a divorare di tutto, preferibilmente di marca, esotico e costoso. Abbiamo iniziato alla fine degli anni ’60 con i pompelmi israeliani che facevano dimagrire (a pensarci oggi faceva tenerezza quel nostro convincimento che l’economia israeliana si fondasse sui pompelmi) e zolla per zolla ci siamo comportati come il Pacman dissipando acqua, impestando aria e suolo, modificando persino la composizione chimica dell’acqua marina.
Ad un certo punto qualcuno si è reso conto che così non avremmo potuto proseguire a lungo, la consapevolezza è cresciuta sino ai livelli attuali. Si può fare di più… Ma siamo sinceri: quanti crediamo di essere? Pochi, ancora troppo pochi, e osteggiati, come dimostrano i menu delle scuole primarie, quando oggetto di timidi tentativi di togliere ai creaturi la fesa di tacchino contrastati da genitori che rizzano barricate, non so dirvi se gridando ça ira o salamella, perché se per il buonismo multietnico imperante il menu islamico è politicamente corretto2,  quello vegetariano è da fanatici rompicoglioni.
La media è bassa, e non mi riferisco al profitto scolastico, e anche l’acqua… conseguentemente la papera ha smesso da un pezzo di galleggiare.
In questo momento storico particolare alcuni (in tutta onestà non me la sento di scrivere “molti”) stanno lasciando o hanno lasciato il materialismo ideologico, il sovrabbondante, l’inutile, il ridondante per passare tra le fila dei consapevoli.
Ed ecco che affermo come la profondità della consapevolezza ecologica si situi nell’ambito della spiritualità naturale legata all’animismo e al culto di Madre Terra. Tutto bene, allora: siamo belli, siamo bio ed apparteniamo alla ristretta cerchia degli eletti, gli ecoconsapevoli, gli illuminati. Siamo i buoni per definizione e conseguentemente, come cantava l’architetto Edoardo Bennato, abbiamo sempre ragione e andiamo dritti verso la gloria.
Come no, riparliamone dopo aver esaminato le due tabelle ed il grafico a corredo: annotano a quanto ammonti la superficie terrestre, quanta di questa sia dedicata alla produzione delle risorse alimentari e, soprattutto, ricordano quanti siamo e quanti saremo nel prossimo futuro.ecopro 1Sfrondiamoci di inutile buonismo: siamo tanti, siamo troppi. E continuiamo a crescere, soprattutto nel Sud del mondo.ecopro 3Chi propone una seria politica di limitazione delle nascite viene preso a sputi dagli esponenti delle varie religioni, in questo assolutamente coalizzate, e chi ipotizza un riuso consapevole delle eccedenze viene gratificato di qualche scatolone di avanzi scaduti, in modo che giocando a fare il buono con i negretti si senta ecosolidalappagato.ecopro 2.jpgNon siamo come i lemming, i roditori che in caso di sovraffollamento intraprendono il loro viaggio finale in gelide acque per riequilibrare le risorse, ma anche noi ci autodistruggiamo: con le guerre (a bassa intensità, si capisce) con i suicidi (non necessariamente puntandoci una pistola alla tempia) con una vita malsana, pur perseverando nell’arroganza di ritenerci specie superiore e dominante.
Le tabelle e il grafico spiegano, più di tante parole. A fronte dell’espansione umana le specie animali si sono drasticamente ridotte, alcune sono scomparse, la maggior parte di esse nel corso dell’ultimo secolo. Stando così le cose è impensabile che la vita possa continuare a lungo sul pianeta se continuiamo a sfruttare le risorse per soddisfare le esigenze di consumo parossistico dei grandi agglomerati urbani.
Se persino la storia delle religioni ci insegna che fu attraverso l’osservazione delle manifestazioni della natura, oltre che del mistero della nascita e della morte, che l’umanità pervenne ad un concetto3 di spiritualità, questa, riferita oggi al contesto in esame, dovrebbe perseguire scopi non immaginari o dogmatici ma occuparsi esclusivamente del presente, mediante una presa di coscienza di come rimettere per quanto possibile in pari i piatti della bilancia senza ritenerci controllori, dominanti o possessori.
Negli ultimi due secoli abbiamo privilegiato la prestazione, il superfluo e le sovrastrutture a discapito di ciò che è primario: acqua, aria, cibo, suolo, serenità. La rivoluzione industriale e l’inurbamento hanno portato disagi, malattie, delinquenza, fame, miseria, tensioni sociali.
Pensiamoci: dovremo rendere domani tutto ciò che prendiamo oggi. Per godercela senza sentire di avere colpe da espiare, ma anche senza esagerare con le fisse, ciascuno di noi dovrebbe perciò affrontare un percorso di crescita individuale sapendo che respiriamo, mangiamo, viviamo con gli stessi diritti di ogni altro essere vivente.
E piantiamola di credere che la spinta evolutiva promani dalle masse: quelle servono per mantenere il senso del gregge che il potere deve tenere sotto il tallone con l’ignoranza, la superstizione, la falsa scientificità, la paura. La spinta evolutiva è solitaria e quasi sempre fuori dal coro.

Alberto C. Steiner

NOTE
1 – In ambiti culturali diversi dal nostro possiamo annoverare anche serpenti e cani
2 – Al di là della farsa del “villaggio globale”, una società che non rispetta le proprie radici antropologiche è votata all’autoestinzione
3 – Il concetto è massimamente antropocentrico

Nuovi attori dello sviluppo territoriale: i nonni

Tra i paesi europei siamo secondi solo alla Germania e la tendenza, in atto da tempo, viene annualmente confermata: i dati Istat e le previsioni avvertono che entro il 2030 gli over 80 potrebbero rappresentare quasi un terzo della popolazione.CV 2017.03.10 Anziani come risorsa 001Ciò che emerge nettamente è il calo della capacità di assorbimento istituzionale delle nuove e numerose esigenze che il fenomeno sta creando, accompagnate da richieste di servizi da parte di questo esercito di anziani. Che lo si voglia o meno, lo stato sociale non potrà rimanere com’è oggi: molto sta cambiando e cambierà in relazione agli assetti pensionistici e all’assistenza socio-sanitaria.
A causa della trasformazione delle famiglie, dovuta alla diminuzione o all’assenza dei figli e all’incremento di separazioni e divorzi, stiamo inoltre assistendo a nuove modalità di aggregazione sociale. Da una parte una congiuntura economica che limita notevolmente la possibilità, e talvolta la volontà, di intervenire attivamente nella cura di genitori e nonni, dall’altra un aumento esponenziale degli anziani, fascia di popolazione tra le meno privilegiate e più colpite dalla costante erosione dei fondi destinati al welfare.
Lo scenario è indubbiamente insidioso e l’unica alternativa consiste nella creazione di tutto ciò che non può essere chiesto al Servizio Sanitario Nazionale, che non dispone oggi di sufficienti mezzi finanziari. Non rimane quindi che ricorrere all’iniziativa privata, ispirandosi a modelli già esistenti laddove il welfare pubblico non è sviluppato come lo era da noi fino a qualche anno fa. La soluzione risiede nello sviluppo di realtà associative o imprese private non lucrative finalizzate ad un’assistenza qualificata e non improvvisata e all’organizzazione di relazioni sociali, contemplando la possibilità che gli anziani possano rendere disponibili le loro conoscenze a beneficio di bambini, adolescenti e giovani, oltre che prestare la loro opera in attività adatte al loro stato psicofisico, tenendo presente che il desiderio di rimettersi in gioco non manca. Una delle migliori possibilità perché ciò possa accadere è la statuizione di contesti coresidenziali sociali dove per attuare un’economia di scala tutta una serie di servizi sia condivisa: assistenza, cucina, spazi di fruizione comune. E dove possano trovare dignitoso alloggio anche studenti universitari, singoli e giovani famiglie, con la garanzia di spazi individuali inviolabili destinati a ciascun soggetto, in cambio della disponibilità ad essere presenti e attivi nei riguardi degli anziani residenti.
Ne abbiamo parlato in proposito il 28 febbraio scorso nell’articolo Coabitazione solidale come fonte di benessere: l’esempio di Trento, citando la positiva esperienza di un cohousing solidale nella città atesina.
Il problema non si pone, o si pone in misura modesta, nei centri minori e nelle località montane, che tradizionalmente godono di relazioni sociali più solide rispetto a quelle cittadine. La questione va quindi massimamente affrontata nei centri urbani di una certa dimensione: Bergamo, Bologna, Firenze, Verona, oltre che nelle grandi città: Bari, Milano, Genova, Napoli, Palermo, Roma, Torino per citare alcune località e prestando attenzione a non creare gerontopoli ghetto.
Un’alternativa, della quale beneficierebbero i numerosissimi borghi in stato di abbandono dei quali è costellata la Penisola, potrebbe essere costituita dalla creazione di cohousing sul modello dell’albergo diffuso, che le leggi vigenti consentono di attuare in agglomerati che non superino i tremila abitanti. Memoria e cura del territorio, attività condivise, ritmi lenti in contesti ambientali ben diversi da quelli urbani costituirebbero gli atout. Il come, il dove, le modalità potranno essere oggetto di opportuni studi, in fondo oggi stiamo solo gettando un seme.
Gli spazi esistono quindi, senza dover ricorrere a nuove edificazioni. Si tratta di adattare l’esistente sottraendolo al degrado. In tal modo non solo si eviterebbe ulteriore consumo del suolo ma, in special modo in riferimento ai siti non urbani, si rivitalizzerebbero il territorio e la sua cultura, ottenendo altresì una sorta di “guardiania sociale” che contribuirebbe a contrastare il degrado ambientale.
Concludiamo esortando a non dimenticare che a fronte di anziani che, per mangiare, rovistano negli scarti del dopo mercato o addirittura si umiliano compiendo piccoli furti nei supermercati, altri godono di un tenore di vita improntato alla massima serenità economica. A certificare la sussistenza di un’area di benessere diffuso è l’esistenza di sempre più numerosi portali e siti web dove si incontrano domanda e offerta di servizi e di attività legate al mondo senior con informazioni utili non solo al reperimento di assistenti, personale medico e operatori socio sanitari, strutture di accoglienza e case di riposo, ma anche rubriche riguardanti soldi e lavoro, hobby e casa, cultura e mostre, viaggi e tempo libero, sport e centri termali, aree shop e persino incontri per rapporti di ogni tipo, dall’amicizia fino a qualcosa di più.
La questione fondamentale, che supera qualsiasi fattispecie tecnica, si situa però in un nuovo modo di ripensare e ripristinare la solidarietà e lo spirito di vicinato, non da ultimo unendo anziani più fortunati, che godono di un ottimo stato di salute e dispongono di un reddito dignitoso, ad altri che vivono al limite della sussistenza. Utopia? Può darsi.

Alberto C. Steiner