In questi giorni si è verificato un fatto inconsueto: la stampa quotidiana ha dedicato più spazio del solito al settore agrosilvopastorale. Abbiamo quindi deciso di approfittarne rilanciando le notizie che ci hanno maggiormente colpiti perché possano costituire una buona chiave di lettura dei segnali che marcano i disagi degli operatori e la consapevolezza del grande pubblico attorno a ciò che mangiamo.Iniziamo con il prosecco, la cui proposta di essere fra i patrimoni tutelati dall’Unesco è stata depositata a Parigi, con molte probabilità che venga accolta. Lo scrivono Il Gazzettino del 27 gennaio e Avvenire del 29. Ne siamo lieti, aggiungendo solamente che servirebbe una maggiore attenzione al fatto che l’area di produzione sta sempre più trasformandosi in una monocoltura degna del land grabbing, e che i produttori non sempre sono attenti alle esigenze dell’ambiente.
Ma il mondo del vino non chiede solo riconoscimenti, soprattutto chiede meno burocrazia perché nemmeno il Testo unico sul vino e l’avvio dei registri telematici, sostiene La Stampa del 29 gennaio, sono riusciti a superare gli ostacoli di una burocrazia che andrebbe adattata alle realtà produttive.
La notizia che ci ha invece, letteralmente, avviliti riguarda invece le speculazioni ai danni di agricoltori e allevatori dei territori colpiti prima dal terremoto e poi dalla neve: prezzi in calo e meno credito, quando invece ci sarebbe bisogno di sostegno. Ma si sa, le banche ti danno l’ombrello quando c’è il sole e te lo tolgono quando piove.
E il mercato non è da meno: nelle aree colpite si aggirano veri e propri sciacalli, commercianti che offrono pochi spiccioli per acquistare animali privi di stalle e mangimi e pochi centesimi per gli ortofrutticoli.
L’accusa, pesante e circostanziata, è lanciata da Il Centro del 29 gennaio, mentre Il Corriere della Sera racconta la storia di chi si ribella e a dispetto di ogni difficoltà non si arrende, continuando la propria attività.
Si moltiplicano per contro, e vengono debitamente segnalati, gli episodi di solidarietà come quello raccontato il 2 febbraio da La Nuova del Sud che conferma l’arrivo a Teramo di 180 quintali di foraggio messi a disposizione dagli allevatori lucani.
Le vicende del Centro hanno lasciato in secondo piano il maltempo che non ha risparmiato la Sardegna. Ne parla su L’Unione Sarda del 27 gennaio a proposito delle conseguenze sulle coltivazioni di carciofo spinoso del Sulcis: una grande speranza degli anni ’90 alla quale il gelo ha dato il colpo di grazia.
Numeri positivi sono invece quelli che si incontrano per l’agroalimentare dell’Emilia Romagna, evidenziati da Nuova Ferrara del 31 gennaio, commentando gli esiti dell’analisi condotta da Monitor, che segnala per il settore ortofrutticolo romagnolo una crescita del 3,6% nei primi nove mesi del 2016.
Ma L’Eco di Bergamo del 28 gennaio avverte della pericolosità insita nei mutamenti della coltivazione di mais, sempre più mutante. Lo stesso quotidiano segnala inoltre che migliaia di ettari un tempo destinati a mais sono ora dedicati ad altre colture, in ossequio alle esigenze del mercato, e Il Sole 24 Ore dello stesso giorno registra come l’evoluzione dei prezzi stia spingendo i produttori verso la coltivazione di soia e colza, costringendo ad aumentare il mais importato. E può accadere che questo sia di infima qualità e privo di concrete possibilità di controllo sull’effettiva provenienza e sui trattamenti subiti.
La Voce di Mantova del 30 gennaio parla invece della sempre maggiore penalizzazione del settore lattiero caseario sul fronte dei prezzi, avvertendo che gli operatori della zootecnia da latte è pronta a darsi nuovamente appuntamento nei luoghi della protesta di venti anni fa. Questa volta accompagnata dagli allevatori di pecore, alla prese con l’ennesima crisi di pecorino e latte ovino.
Lo affermano anche La Repubblica del medesimo giorno e L’Unione Sarda del 31 gennaio. Il Giornale di Vicenza del 2 febbraio scrive che potrebbe addirittura andare peggio, esortando la cooperazione veneta a spingere sulle esportazioni di formaggi, pena un’insostenibile caduta dei prezzi.
Insaccati e salumi emiliani crescono invece del 12,6% scrive La Gazzetta di Parma del 31 gennaio, e non capiamo quindi come mai sempre più numerosi siano gli immobili destinati all’allevamento in vendita all’asta nelle province di Parma, Reggio emilia e Modena. Che i suini vengano allevati altrove e le aziende chiudano con l’escamotage del fallimento? Non possiamo affermarlo, ma se la bresaola valtellinese igp si fa ormai con carne congelata di zebù brasiliano, perché non anche il culatello?
Il vero problema del mondo agricolo rimane però la costante flessione del credito, lo afferma l’autorevole voce de Il Sole 24 Ore del 28 gennaio segnalando un calo del 2,5% degli affidamenti agrari, scesi a 43,5 miliardi di euro, mentre salgono a 5,8 miliardi i debiti in sofferenza. Nonostante tutto nel 2016 sono stati investiti 855 milioni di Euro, a dimostrazione che il comparto intende sopravvivere e crescere.
Lo stesso quotidiano fornisce i primi numeri non ufficiali sulla consistenza delle aziende del settore: 1.048 cessate a Parma nel 2016, 1.669 a Modena, 281 in Basilicata, 1.011 in Lombardia (dove si verifica sempre più il fenomeno di poche aziende con grandi estensioni di terreno. In controtendenza Marche (+199), Toscana (+801, con una notevole vocazione agrituristica) e Umbria (+93).
E concludiamo con l’argomento che più ci sta a cuore: il lupo. Da tempo gli allevamenti devono fare i conti con i danni provocati dagli attacchi di selvatici, in particolare lupi.
L’argomento è spinoso: complicato ottenere rimborsi e difficile contrastare la diffusione dei predatori ma, come scrive il Quotidiano del Sud del 29 gennaio, prenderli a fucilate costituisce una soluzione crudele e irrispettosa dei bioritmi della natura, stravolta dall’antropizzazione intensiva con tutte le conseguenze del caso. L’interessante proposta suggerita dal quotidiano consiste nell’introduzione di cani di razza mastino abruzzese, una delle poche razze insieme con il maremmano capaci di competere con il lupo tenendolo a distanza dalle greggi.
ACS
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