Consumo del suolo: quando il riuso non è possibile

Carletto guarda: le Apuane!
Dove papà? Non le vedo.
Uffa, non serve che guardi fuori dal finestrino… qui, sul tablet, in queste vecchie foto.
Iniziava con questo scambio di battute fra un padre e un figlio immaginari il nostro articolo Carletto guarda: le Apuane! Dove papà? Non le vedo pubblicato il 4 marzo 2014 sul vecchio blog dedicato allo scempio ambientale delle Alpi Apuane, ormai ridotte a moncherini a causa delle cave di marmo.kl-cesec-cv-2014-03-04-consumo-del-suoloConsumo del suolo è un’espressione tanto efficace quanto impropria: il suolo non si consuma ma cambia uso attraverso i processi di trasformazione da usi agricoli o naturali ad usi urbani. Nella sola Lombardia, quella che possiede le terre più fertili in assoluto e che contribuisce per il 16% al prodotto agroalimentare nazionale, dal 1999 al 2007 si sono persi oltre 43.000 ettari, e altri 27mila dal 2007 al 2012.
E nel 2016 il discutibile palmares è ancora una volta toccato, secondo il Rapporto 2016 Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici diffuso dall’ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, alla provincia di Monza e Brianza.
Il rapporto è leggibile e scaricabile in formato pdf anche tramite il nostro articolo Pole position per Monza e brianza: nel consumo del suolo, pubblicato il 2 settembre 2016.CV 2016.09.02 Consumo suolo 001È nota la nostra posizione a favore del riutilizzo del suolo, particolarmente in ambito urbano. Ma ciò non è sempre possibile, neppure a favore del reimpianto boschivo a causa di sostanze tossicche massicciamente sversate da aziende che, dopo aver operato in modo criminale, hanno chiuso baracca lasciando un’insostenibile eredità ambientale e sociale.
Sul territorio nazionale gli esempi non mancano, ne citiamo uno per tutti: le Fonderie e smalterie Genovesi di Latina – oggi molto apprezzate dagli appassionati di urbex – una bomba ecologica, una vicenda emblematica ed il simbolo di un fallimento.cv-2017-02-24-consumo-suolo-001Fu una delle prime aziende a beneficiare dei contributi della Cassa del Mezzogiorno, e con denaro pubblico costruì nel 1956 uno stabilimento alla periferia di Latina per produrre vasche da bagno. La città di Latina è oggi alle prese con una vera e propria bomba ecologica, un sito mai bonificato, un posto pericoloso con presenza di amianto e piscine colme di combustibile, un degrado impressionante, un luogo malsano dove tanti disperati trascorrono la notte tra l’indifferenza generale.
Genovesi prima, il Gruppo Pozzi-Ginori poi, l’affermarsi delle vasche in vetroresina che diede un duro colpo alla produzione, la cassa integrazione e la chiusura a metà degli anni Settanta, il fallimento, l’abbandono.
Il quadro è sconfortante: da Pomezia verso sud sono tanti i casi di improvvida gestione aziendale, dal 1955 al 1985 hanno chiuso più di cento industrie, e non si contano i le truffe milionarie in materia di contributi. A legare idealmente le diverse storie c´è il miraggio dell´occupazione, pompato da politici miopi e spesso corrotti. E infine il sogno infranto rappresentano dalle aziende che dopo aver preso i soldi pubblici cessano l’attività e spariscono.
Rimangono la cassa integrazione, finché dura, e l’insanabile devastazione del territorio.
Intendiamoci, se Atene piange Sparta non ride. Vale a dire che se la situazione al Sud – e il Sud, oltre a ricomprendere la Sardegna, per la Cassa iniziava dalla provincia di Latina – è indecente per lo sperpero di denaro pubblico, la devastazione del territorio, le morti a tempo per tumori e leucemie e perché nessuno è stato chiamato a rispondere delle conseguenze, anche il Nord non se la passa meglio. Semplicemente stati erogati altri tipi di contributi, ma il risultato è il medesimo dalle Cokerie di San Giuseppe di Cairo al polo chimico di Pioltello, da Marghera ai Cantieri dell’Adriatico di Monfalcone, dalla Bassa Pavese a quel che resta della SIR di Rovelli o della Breda a Sesto San Giovanni. E ci fermiamo qui perché l’elenco farebbe invidia a quello telefonico.

Alberto C. Steiner

Pole position per Monza e brianza: nel consumo del suolo

Oltre 5 milioni di Euro: ecco quanto è costato il consumo di suolo a Monza e Brianza, secondo il Rapporto 2016 (leggibile e scaricabile qui in formato pdf) appena diffuso da ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, ancora una volta la provincia più consumata d’Italia con il 40,7% della superficie totale.CV 2016.09.02 Consumo suolo 001Le nuove urbanizzazioni previste nei vari Piani di Governo del Territorio interessano 2.322 ettari totali di cui 1.058 su aree libere e naturali, e sono andati perduti 790mila Euro per quanto riguarda la capacità di stoccaggio del carbonio tra il 2012 al 2015. Sono finiti in fumo ben 4 milioni di produzione agricola, 252mila di produzione legnosa. A queste cifre vanno aggiunti 126mila euro per costi a causa del suolo eroso, ai quali si aggiungono gli oltre 500mila dissipati a causa della riduzione della permeabilità dei suoli.
Consumo e conseguente impermeabilizzazione dei suoli naturali generano costi per la collettività: sottostimati e trascurati, ribaltano la convenienza di scelte urbanistiche dal ritorno economico limitato al breve termine. Fermare il consumo di suolo non è quindi una battaglia ideologica.
Gli oneri derivano dalle perdite irreversibili in termini di capitale naturale, vale a dire di ecosistema: si perde in produzione agricola e di materiali (ad esempio il legno), si spende per inquinamento ed erosione del suolo, si consuma più energia a causa della minore capacità di sequestro del carbonio nel suolo e nella vegetazione, aumentano i costi sanitari a causa della diminuzione della capacità di rimozione del particolato e di assorbimento dell’ozono.
Nell’operosa Brianza, colpita come altre da eventi meteorici estremi sempre più frequenti e dannosi, si annoverano anche le perdite in termini naturali di qualità degli habitat, con conseguenze gravi per esempio sulla capacità di impollinazione, nonché quelle in ambito culturale e ricreativo.
Mal comune mezzo gaudio, si dice: il resto del Paese non se la passa meglio, ma non è per niente una consolazione.CV 2016.09.02 Consumo suolo 002Il faro illuminante della Brianza che lavora, l’operosissima Lissone, perso da tempo lo scettro di comune con il maggiore consumo di cocaina mantiene saldamente quello della più elevata percentuale di suolo consumato (71,3%), ed è primo anche in Lombardia nonché sesto a livello nazionale fra i comuni dell’hinterland napoletano.
Superano il 50 per cento di suolo consumato Brugherio, Cesano Maderno, Meda, Muggiò, Nova Milanese, Seregno e Villasanta. Di poco sotto il 50 per cento Desio e Monza.
Situazione critica a Agrate Brianza, Caponago, Lazzate e Lentate sul Seveso a causa delle nuove infrastrutture viabilistiche: TEEM e Pedemontana.
In condizioni migliori le località del Vimercatese: Aicurzio, Cornate d’Adda, Mezzago, Ornago e Sulbiate.
Le località per così dire virtuose sono Camparada e Ronco Briantino, che hanno perso solo 20 euro perché da tempo hanno posto particolare attenzione alla questione.
Zero adesioni, infine, al progetto SUOLI, Superfici Urbanizzate: Opportunità di Lavoro per le Imprese, sviluppato da Arpa Lombardia che aveva indicato la strada giusta: l’incontro tra aziende e comuni per sviluppare nuove opportunità di lavoro attraverso il recupero delle aree dismesse e sottoutilizzate già urbanizzate.
Vabbè dai… abbiamo la corona ferrea, l’autodromo, il parco cintato più esteso d’Europa, la maggiore incidenza nell’acquisto di perizomi Svarowski e forse anche Miss Italia. Bisògna cuntentàss, non è che si può avere tutto dalla vita: l’importante è fatturare.

Alberto C. Steiner