Pandemia: annientato il mercato delle locazioni brevi

cc-2017-01-19-rodano-002Neppure la legge Reale1 riuscì dov’è invece riuscita la nuova peste.
Non tanto e non solo in forza delle norme restrittive bensì della paura folle, irragionevole, atavica che ha indotto gli umani a sfuggire i propri simili, a temerli, a scegliere di non vivere per paura di morire.
Tanto di cappello a chi ha saputo suscitare tutto questo, è gente persino più in gamba di Mendella, di Vanna Marchi e dei vecchi, pionieristici, consulenti globali d’assalto Fininvest.
Ma, certi dell’impunità, promotori e scherani dell’ignobile nefandezza lasciano che il telo di copertura, sempre più liso e squarciato, mostri senza ombra di dubbio lo sconcio verminaio, la vera natura della laida manfrina: affossare il paese, renderlo facile preda di avvoltoi che strappano brani di carne viva dal corpo ancora agonizzante, mentre con fare rassicurante ammanniscono al popolo bue sequele di menzogne che persino un bambino di cinque anni potrebbe smantellare.
Ma il popolo bue non lo fa, rintanato nelle caverne a pascersi di terrore e timore per il futuro. Perché il popolo bue le desidera, le menzogne, anela ad esse come a una droga anestetizzante.
Siamo alla terra bruciata, l’immonda manovra ha annichilito, devastato, annientato in ogni ambito economico innumerevoli attività artigianali, industriali, commerciali, professionali trucidate senza nemmeno la grazia del colpo alla nuca.
L’insipienza, la pochezza, l’immoralità di lor signori ha saputo solo partorire rinvii delle scadenze fiscali, elemosine e prestiti in luogo di contributi a fondo perduto.
In tale contesto, uno dei settori che più patisce lo sconvolgimento, per non dire l’azzeramento, è il mercato delle locazioni particolari, quelle brevi e quelle legate ai fenomeni di coliving e di coworking.
In riferimento a tale ambito, credo doveroso ripartire il fenomeno in due macro-realtà geografiche: Milano e il resto del non-paese.
Non è campanilismo, il mio, ma frutto di semplice constatazione: Milano, e la Lombardia, sono salite agli onori delle cronache quali maggiori focolai della pandemia, a livello mondiale. Non dimentichiamo che tutto nacque in quel di Codogno.
Inizio con le locazioni brevi: Milano non è solo la città di Leonardo, dell’Ambrosiana, della Scala, delle mostre a Palazzo Reale, ma anche la città degli eventi commerciali, la cui palma d’oro spetta indiscutibilmente al Salone del Mobile, totemico idolo inscalfibile che quest’anno è stato però abbattuto.
L’evento, che avrebbe dovuto avere luogo in aprile ma è stato per ora rinviato a giugno, porta in città, nell’hinterland e persino nell’intera regione centinaia di migliaia di visitatori, tecnici, operatori, acquirenti e turisti provenienti da ogni angolo del mondo per conoscere le novità e le tendenze dell’arredamento ed in generale dell’architettura di interni.
Proprio il Salone ha indotto numerose persone a compiere il salto, trasformandosi in affittacamere, magari sottoscrivendo mutui per acquistare appartamentini e loft da rendere disponibili a tariffe giornaliere variabili tra 150 e 500 euro.
L’immondo virus, o se preferite la supposta pandemia in quanto di vera a propria supposta trattasi, realizzata in acciaio rivestito in tela smeriglio, ha comportato la cancellazione di decine di migliaia di prenotazioni da parte di visitatori preoccupati, impossibilitati a giungere in città a causa delle norme restrittive e comunque privati dello scopo, con la contestuale restituzione delle caparre, non di rado già spese vuoi per approvvigionamenti, vuoi per la rata del mutuo, vuoi per mille altre ragioni che non ci è dato di sindacare.
Le prenotazioni non sono differibili a giugno, perché comunque vada a giugno le partecipazioni al Salone saranno scarsissime e perché qualche operatore avrà già prenotazioni: due o tre notti nell’ultimo scorcio di stagione perché, come è noto, a Milano dalla seconda metà di giugno alla prima di settembre non viene praticamente nessuno.
Senza contare il fatto che, a causa del coraggio da coniglio e della memoria da elefante che classicamente caratterizza le masse, pronte al pregiudizio, la circostanza comporterà un minore interesse turistico almeno per i prossimi sei o addirittura dodici mesi.
Si badi bene, qualora non fosse sufficientemente chiaro: non sto parlando di società di gestione, di holding del B&B, ma di piccoli proprietari. Sono loro, e non le società di gestione dai nomi altisonanti e dalla provvigione del 20%, che ci rimettono fior di quattrini.
La beffa, oltre al danno, consiste proprio nel fatto che se il proprietario dell’immobile guadagna la società di gestione prende una percentuale, ma se il proprietario non guadagna, a perderci è solo lui.
Questo fenomeno porta, naturalmente, acqua al mulino delle cassandre delle locazioni brevi, quelle che preferiscono locazioni lunghe, ordinarie, con inquilini affidabili ai quali (a Milano è comunemente in uso questo sopruso) chiedere il 730 o l’Unico per certificare la capacità di sostenere il costo della pigione.
Il coliving ed il coworking vivono invece una vera e propria Beresina: ciò che appariva in inarrestabile crescita prima dell’epidemia da coronavirus sembra in caduta libera.
Relativamente al coliving, particolarmente gettonato da studenti e giovani professionisti che ricercano soluzioni condivise in un mercato delle locazioni, quello milanese, fra i più cari d’Europa, il concetto stesso del vivere insieme sul quale si fonda, minimizzando gli spazi individuali a favore di quelli condivisi: cucina, bagno, soggiorno, terrazzo o giardino, è messo in discussione dalle nuove abitudini che rifuggono dalla promiscuità.
Per quanto mi riguarda ho già avuto modo di esprimere le mie forti perplessità circa la validità della formula coliving, che mi ricorda molto le economie di guerra e certe tipicità dei paesi ex-socialisti, dissuadendo dall’acquistare immobili da destinare a tale forma di investimento chi ebbe occasione di chiedermi un parere.
E pensare invece che alcune imprese di costruzioni stavano ipotizzando di realizzare nuove edificazioni costituite da appartamenti in vendita in coliving, versione urbana più intimista rispetto al cohousing.
Le stesse problematiche, credo addirittura estremizzate, affliggeranno il mondo del coworking, dove diventa ormai impossibile condividere scrivania, bagno e distributore di caffè con degli sconosciuti.
Il medesimo scenario è proponibile per città come Torino, Genova, Roma e Napoli. In località minori, dove i canoni di locazione sono più abbordabili e le case destinate alle locazioni brevi costituiscono generalmente, da gran tempo quando non da secoli, patrimonio di famiglia la scure si abbatte comunque, ma con effetti meno devastanti.
Per contro, intravedo uno spiraglio nel comparto delle compravendite: a parte gli immobili in esecuzione forzata, dove si potranno spuntare ribassi particolarmente remunerativi con il ricorso al saldo e stralcio, i prezzi non crolleranno.
Come è già accaduto in passato il mercato si fermerà per due, tre, forse anche sei mesi, per poi riprendere sulle stesse basi antecedenti l’interruzione privilegiando, come sempre, le metrature piccole e medie.

Alberto Cazzoli Steiner

NOTA
1 – Legge 22 maggio 1975 n.152: Disposizioni a tutela dell’ordine pubblico, detta legge Reale dal promotore Oronzo Reale, allora ministro di Grazia e Giustizia. Per approfondimenti: https://it.wikipedia.org/wiki/Legge_Reale

 

Vieni? No, unesco perché è tutto avvelenato: prosecco Docg

Come è noto, alla fine la lobby del prosecco l’ha spuntata: i 18.967,25 ettari nel cuore del Veneto sono diventati patrimonio dell’umanità sotto le insegne dell’Unesco e il motto, anzi il mantra, “unione di cultura e natura in un paesaggio non riproducibile”.FRANCE-AGRICULTURE-VITICULTURE-WINEChe non sia riproducibile ce ne accorgeremo quando non esisterà più, visto che oggi quel paesaggio sta scomparendo, eroso in misura variabile da 9.300 a 43.400 chilogrammi per ettaro, pari a 31 volte la media fisiologica ammissibile che va da 300 a 1.400 chilogrammi per ettaro.
L’erosione è un fenomeno assolutamente naturale, ma quello che nelle terre de ombre baciate dall’Unesco preoccupa è la velocità con cui avviene.
La ragione per cui avviene è una sola, si chiama “schei”, denaro, al quale è stata sacrificata qualsiasi cultura del lungo termine, qualsiasi forma di tutela del territorio, in un parossistico qui-e-ora che non prevede, anzi ne respinge il solo pensiero, quali saranno le conseguenze dell’eccessiva erosione fra venticinque, cinquanta o cento anni.
Intendiamoci, il suolo non si volatilizza, si trasforma, per esempio in polveri, e si sposta. E nessuno si preoccupa di verificare l’impatto ambientale di questa imponente massa di sedimenti che finisce nei fossi, nei fiumi e via via fino al mare portando quantità di inquinanti, a cominciare dai residui di fito”farmaci” e fertilizzanti come il fosforo attaccato alle particelle di suolo.
Ma andiamo con ordine.
Va detto, anzitutto, che esistono due aree del prosecco. Quella Doc è estesa su nove province, tre friulane (Gorizia, Pordenone e Udine) una giuliana (Trieste) e cinque venete (Belluno, Padova, Treviso, Venezia, Vicenza) e complessivamente vale 464 milioni di bottiglie che assommano annualmente 2,5 miliardi di euro.
Quella Docg, oggetto di queste note, è ricompresa in quindici comuni: Cison di Valmarino, Colle Umberto, Conegliano, Farra di Soligo, Follina, Miane, Pieve di Soligo, Refrontolo, San Pietro di Feletto, San Vendemiano, Susegana, Tarzo, Valdobbiadene, Vidor e Vittorio Veneto e produce complessivamente poco più di 90 milioni di bottiglie per un controvalore di 520 milioni di euro.
Un tempo il vino italiano più bevuto nel mondo era il chianti, e molti si chiedevano come fosse possibile garantire un’esportazione otto volte superiore alla produzione.
Ma i misteri vitivinicoli sono pressoché infiniti, quasi pari a quelli eleusini, e si esplicano senza esclusioni territoriali dalle Alpi al Lilibeo. Per esempio trasformando, grazie ad enologi Maghi Merlini, il Primitivo o lo Squinzano in Prosecco. Nemmeno Michael Jackson riuscì mai a diventare così bianco.
Ma per non uscire dal tema non indaghiamo e mettiamoci una pietra sopra, come dicevano i costruttori della Salerno – Reggio Calabria.
Oggi il vino italiano più stappato al mondo è il prosecco, e il Regno Unito ne è il maggior consumatore. Nel 2019 il Docg ha già registrato un incremento del 28% delle esportazioni e per fine anno si prevede di raggiungere il miliardo di euro.
Ironia della sorte: è anche uno dei vini più imitati, soprattutto da cileni e sudafricani. E si stanno affacciando i cinesi. Loro non imitano, comprano.
Ma laggiù dove le linee dell’orizzonte sono dominate da colline dolci anche se molto ripide e da innumerevoli piccoli vigneti sviluppati longitudinalmente da Est a Ovest in scenografici terrazzamenti inerbiti, si nascondono invisibili insidie, mostri pronti a prenderti alla gola, ad entrarti nel sangue, a mozzarti il respiro, a modificare le tue cellule come in Morbus Gravis di Eleuteri Serpieri.
I peana che esprimono grande soddisfazione e immensa gioia per l’iscrizione a patrimonio dell’umanità delle colline di Conegliano e Valdobbiadene si sono sprecati, e tutti gli aedi affermano, come per esempio dichiara Innocente Nardi, presidente dell’Associazione temporanea di scopo Colline di Conegliano Valdobbiadene patrimonio dell’umanità e del Consorzio di Tutela del Conegliano Valdobbiadene prosecco Docg, che “il riconoscimento non rappresenta il punto di arrivo ma un’importante tappa di un percorso che mira alla valorizzazione del patrimonio culturale, artistico ed agricolo di questo piccolo territorio. Da oggi l’impegno di tutti sarà rivolto alla conservazione e alla manutenzione dei beni paesaggistici iscritti, con particolare attenzione alle raccomandazioni Unesco per la tutela e la valorizzazione a favore delle future generazioni, in coerenza con l’obiettivo di un equilibrato e armonico sviluppo economico e sociale.”
Banda, zum-pa-ppa, taglio del nastro e benedizione del vescovo. Segue brindisi.
Dal coro dei belanti si staccano in pochi. Per esempio Francois Veillerette, presidente del PAN, Pesticide Action Network, che scrisse una lettera al comitato del patrimonio mondiale dell’Unesco per mettere in crisi la decisione:
“Vi scriviamo per conto di chi rappresenta 600 organizzazioni, istituzioni e individui in oltre 90 paesi che lavorano per sostituire l’uso di pesticidi pericolosi con alternative ecologicamente valide e socialmente giuste.
La regione del prosecco Docg è caratterizzata da un’intensa produzione di vino, in cui i vigneti coprono sia le aree urbane sia quelle naturali dell’intera area e dove vengono utilizzati intensamente i pesticidi pericolosi.
L’uso intensivo di pesticidi ha già dimostrato effetti negativi sulla salute della popolazione locale e sulla qualità della vita nella regione. Le persone che vivono in prossimità delle zone viticole soffrono di questi effetti giorno dopo giorno.
I cittadini della regione del prosecco hanno contestato fortemente la nomina come patrimonio mondiale, poiché il loro benessere e la loro salute sono continuamente minacciati dall’uso di pesticidi pericolosi.”
Gli abitanti delle aree interessate, ma non interessati anzi dominati dalla produzione del prosecco, hanno fondato numerose organizzazioni, hanno organizzato marce, hanno scritto ed inviato petizioni, hanno promosso sit-in nel tentativo di fermare il processo di iscrizione, almeno fino a quando non si fosse interrotto l’uso di pesticidi.
A fronte di tutto questo il Consorzio Valdobbiadene ha messo al bando il pesticida più famoso, il glifosato, ma ciò ovviamente non è sufficiente per contenere la rabbia dei cittadini che si sentono abbandonati rispetto all’invadenza dei fitofarmaci usati abbondantemente vicino a case, scuole, ospedali e si sono sentiti presi in giro da coloro ai quali hanno espresso la loro fiducia attraverso il voto in ragione dell’inutilità dei loro sforzi.CV 2017.03.18 Bancaterra 002E veniamo infine al fenomeno dell’erosione.
Il processo che ha portato all’ottenimento della Docg ed al riconoscimento da parte dell’Unesco è durato undici anni e, negli ultimi sette, una ricerca caratterizzata da efficienza, professionalità, dedizione e basso profilo è stata svolta da un gruppo di agronomi, geografi, geologi, ingegneri ambientali e sismologi dell’Università di Padova.
Poiché nella letteratura scientifica si possono trovare diversi articoli in cui si evidenzia l’alto tasso di erosione dei suoli, i risultati della ricerca non sorprendono.
Purtroppo è noto come i processi del e nel suolo si manifestino nel lungo periodo ed è altrettanto evidente come attualmente, in qualsiasi attività produttiva intensiva si badi alla convenienza immediata, a discapito di qualsiasi interesse o bisogno ambientale o sociale.
A tali dinamiche l’agricoltura non sfugge, soprattutto per quanto riguarda colture estensive e certe eccellenze produttive, per esempio il prosecco.
E quindi, nei giorni in cui il prosecco segna record mondiali di vendite, l’Università di Padova pubblica sotto il titolo “Estimation of potential soil erosion in the Prosecco Docg area” sulla prestigiosa rivista Plos One il resoconto dell’accurata ricerca che dal 2012 ha monitorato i terreni del prosecco docg, certificando che quel territorio ha un indice di erosione trentun volte superiore ai limiti considerati tollerabili all’interno dell’Unione Europea.
Secondo la ricerca, per produrre una bottiglia di prosecco si consumano 3,3 kg di terra; calcolando come sopra indicato una produzione di 464 milioni di bottiglie doc e di 90 docg, il conto è presto fatto: scompaiono 1.828.200.000 kg di terra.
Evidente come l’impronta ecologica del prodotto sia notevolissima. Stiamo parlando di un’area estesa per 215 chilometri quadrati, dove la coltivazione della vite che origina il docg occupa il 30 per cento del terreno disponibile, e la ricerca avanza il dubbio che un’attività agricola così intensiva non sia più sopportabile sul piano ambientale.
Nella parte narrativa della ricerca si legge: “Il suolo è una risorsa non rinnovabile, per questo motivo bisogna avere un approccio integrato alla gestione dell’agroecosistema. Un territorio come quello dell’area prosecco oggi dà ottimi risultati dal punto di vista economico, ma questo tipo di produttività alla lunga difficilmente sarà sostenibile.”
Nei fatti, con l’erosione il suolo si abbassa sul piano topografico e il terreno si impoverisce, in termini di sostanza organica e nutrienti e l’erosione, che in natura assomma normalmente alla media di 1 mm/anno, qui preoccupa per la velocità con cui si manifesta.
Le colture di vigneti, ricomprese nella cosiddetta agricoltura da versante, sono tra quelle che più stimolano i processi erosivi, e la ricerca dell’Università di Padova stima che il processo degenerativo potrebbe essere dimezzato se intorno alla produzione si allargasse una fascia di contenimento costituita da siepi intorno ai filari, fasce tampone e inerbimento delle aree dei vitigni.
Vi è stata, inevitabilmente, un’alzata di scudi da parte degli agricoltori che, oltre a contestare i dati della ricerca, hanno affermato come frenare l’erosione sia interesse primario di chi produce vino, indicando processi di mitigazione produttiva già avvenuti negli anni scorsi nelle zone del Chianti e delle Langhe, con esiti disastrosi per il fatturato.
Hanno perciò espresso la loro disponibilità ad intervenire, qualora sostenuti economicamente dallo Stato e dall’Unione Europea. L’80 per cento del prosecco varca la frontiera e, c’è da giurarci, l’80 per cento dei viticoltori sono a chiacchiere favorevoli all’indipendenza del Veneto.
Così è, se vi pare. Cioè no, cosa dico? Non sia mai che cito Pirandello, un terrone.

Alberto Cazzoli Steiner