La ricerca: una risorsa per la tutela del suolo

Conservare e scambiare preziosi semi antichi non serve, se non si conosce nulla del terreno dove verranno immessi. Vagheggiare il ritorno ad un’agricoltura primitiva di impronta utopisticamente arcadica, impiantando un’attività senza tener conto delle attuali risorse tecnologiche significa campare borderline e diventare, entro breve tempo, carne da macello per gli uffici esecuzioni immobiliari dei tribunali. Respingere, anzi demonizzare la ricerca come portatrice di sventura a prescindere significa essere oscurantisti e non capire un accidente di come debba funzionare un’azienda agricola.
Se questi sono i parametri sui quali si intende basare un ritorno alla terra è meglio pensare seriamente di dedicarsi ad altro, evitando così di creare ulteriori premesse per il depauperamento del territorio, oltre che mettere in serie difficoltà se stessi e le proprie famiglie.CV 2017.03.18 Ricerca 001Il ruolo della ricerca è fondamentale nell’attività agrosilvopastorale, non da ultimo per quanto riguarda la tutela della risorsa suolo.
l suolo, inteso come la parte più esterna della crosta terrestre situata tra roccia o sedimento inalterato e atmosfera, è un sistema naturale che tende ad autoorganizzarsi in conseguenza dell’azione dei fattori della pedogenesi, e particolarmente dell’attività biologica che ne determina i maggiori dinamismi. Non è quindi un substrato inerte, statico, attraverso il quale realizzare le produzioni agricole e forestali o sul quale appoggiare attività e infrastrutture, ma un essere vivente e un patrimonio naturale formatosi nei millenni precedenti l’Antropocene, l’attuale era geologica nella quale gli esseri umani provocano le principali modifiche territoriali e climatiche.
È ormai ampiamente dimostrato come l’umanità stia sfruttando questa risorsa, non rinnovabile o rinnovabile con estrema lentezza, in modo insostenibile. L’Ocse, Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, e la Unccd, Convenzione delle Nazioni Unite contro la desertificazione, individuano nella degradazione del suolo il rischio principale di diminuzione o scomparsa della produttività biologica o economica delle terre. Riferito alla diminuita produzione di derrate alimentari ciò significa per l’Italia un maggior costo annuo pari a 900 milioni di euro.
In Italia, la degradazione del suolo assume un particolare rilievo a causa della continua riduzione della superficie agricola utilizzata – da oltre un decennio scesa sotto i 13 milioni di ettari – della stabilizzazione delle rese unitarie delle principali colture e della crescita dei consumi. Il risultato è che il tasso di auto approvvigionamento alimentare in Italia è sceso sotto l’80% e il paese risulta terzo fra quelli dell’Unione europea come deficit di suolo agricolo.
La qualità del suolo italiano non è affatto eccellente: se si considerano parametri biofisici oggettivi quali pendenza e aridità, presenza di suoli a scarso drenaggio o profondità, tessitura eccessivamente argillosa o sabbiosa, abbondanza di scheletro e pietrosità, fenomeni vertici, torbe, suoli salini, sodici o acidi, i suoli agricoli italiani risultano notevolmente svantaggiati in una misura prossima all’80%.
Tra gli obiettivi Primari dell’Unione Europea individuati nella Strategia Europa 2020 due riguardano espressamente il suolo:
adattamento ai cambiamenti climatici e prevenzione e gestione dei rischi;
tutela dell’ambiente ed efficienza delle risorse.
In tale direzione sono orientate molte attività di ricerca. Tra queste, degne di menzione quelle volte ad individuare il ruolo che il suolo può giocare nella mitigazione dei cambiamenti climatici attraverso il sequestro di carbonio e la regolazione delle emissioni di gas serra, e quelle finalizzate ad aumentare l’efficienza dei servizi agro ambientali prodotti dal suolo, in particolare quantità e qualità delle produzioni agricole e forestali, e regolazione dei deflussi idrici e dei sedimenti.
I risultati delle ricerche per la tutela della risorsa suolo hanno evidenziato come i cambiamenti climatici presenti e futuri influiscono negativamente sui parametri pedologici e sui servizi ecosistemici.
Gli effetti locali infatti dovrebbero essere considerati come più importanti rispetto ai trend generali, a causa delle interazioni tra natura dei suoli e loro gestione. Quest’ultima, in particolare, dovrebbe essere sempre sito specifica a causa dell’elevata variabilità spaziale dei suoli. In questo senso agricoltura di precisione, biologica e conservativa possono costituire strumenti fondamentali per mitigare i possibili effetti negativi dei cambiamenti climatici, ma solo se basati su una conoscenza dettagliata della variabilità pedologica.

Alberto C. Steiner

I nostri servi ci avvelenano mentre giochiamo a mosca cieca nei giardini reali

“Sono tanto semplici gli uomini, e tanto obediscano alle necessità presenti, che colui che inganna troverà sempre chi si lascerà ingannare” scrisse Niccolò Machiavelli nel capitolo XVIII de Il Principe, e proseguendo nella lettura vedremo come questa citazione sia pertinente all’argomento.CV 2017.03.08 Servi 005.jpegÈ nata l’ennesima professione inutile emergente, il personal shopper per cuochi: si incarica di consigliare e scegliere i prodotti bio che il genio dei fornelli trasformerà in gustosi e creativi manicaretti.
Siamo certi che siffatta collaborazione irrobustirà ulteriormente l’ego di certi cuochistar, e del resto possiamo capire che tra libri, interviste, presenze televisive costoro non abbiano certo il tempo di fare la spesa. Ci viene il rovello se ne avanzino per cucinare ma forse, novelli Michelangelo a bottega, passano tra gli allievi osservando, annusando, redarguendo e apportando correzioni con il loro sapiente tocco, pronti alla sfuriata come l’irascibile artista di Caprese.
E, a proposito di cuochi d’alto bordo, ricordiamo l’intensa interpretazione cinematografica che del cuoco François Vatel rese Depardieu. La vicenda si conclude tragicamente: questo coscienziosissimo genio della cucina, non essendo giunte per tempo le preziose ostriche di Normandia ed essendo egli ormai disgustato del proprio lavoro e delle dinamiche cortigiane, si toglie la vita.
In ambito militare, e rapportata all’epoca, la vicenda avrebbe sicuramente meritato un’onorificenza, va da sé alla memoria, la cui motivazione iniziata con le parole: “Comandante di nucleo di cucinieri, nel corso di una difficile operazione con perizia e intelligenza concorreva con le forze alle sue dipendenze …” si sarebbe inevitabilmente conclusa con: “… sino all’estremo sacrificio, inferto di propria mano pur di non subire l’onta del disonore. Fulgido esempio di abnegazione e senso del dovere. Castello di Chantilly, Francia, 1671.”
E pensando alla similitudine militare, vale la pena di riferire come nelle caserme si vociferasse di un’amena pietanza destinata ai superiori ritenuti stronzi: la bistecca dell’ufficiale. Essa bistecca sarebbe stata dapprima battuta, non con il batticarne bensì con la suola di un anfibio (usato, è ovvio), poscia lavata con ammoniaca, candeggina o altro grazioso detergente. Riferisce la vulgata che il corrosivo liquido venisse rimosso sotto un breve getto d’acqua corrente, il sapore della carne venisse esaltato da urina e sputi, e che la bistecca trovasse infine dignitoso olocausto in abbondante burro pronto ad accoglierla spumeggiando come il mare che ci donò Venere.
Ed eccoci al punto. Noi oggi non solo mangiamo inconsapevolmente la bistecca dell’ufficiale, ma siamo come quei nobili e cortigiani protagonisti e comprimari del film, che organizzano cacce al tesoro e mosche cieche in lussureggianti giardini fra oscure trame di corte e ancillari, stringendo alleanze per far la guerra all’Olanda di turno: in fondo, ora come allora, sono in gioco le nostre Terres d’Outre-mer dove chi produce ciò di cui ci alimentiamo patisce sfruttamento e fame.CV 2017.03.08 Servi 001Nel frattempo noi, gioiosi e giocosi, sperperiamo a man bassa le sempre più scarse risorse di cui disponiamo evitando, poiché non è un atteggiamento regale, di occuparci seriamente dell’amministrazione dei nostri beni. Intanto i nostri dipendenti, fiduciari, vicerè, governatori e persino servi ci tengono in pugno avvelenandoci e sottraendoci i risparmi senza che nemmeno ce ne rendiamo conto.
Trascorsi alcuni decenni il popolo non avrà il pane e noi suggeriremo “S’ils n’ont plus de pain, qu’ils mangent de la brioche!” e, anche se l’affermazione pare sia un falso, ci sta. Poi ci taglieranno la testa, fine del film. Ma questa volta niente titoli di coda, ressa all’uscità, pipì, caffè, sigaretta.
Un po’ metafora e un po’ no, questi pensieri sparsi vogliono riportare al concetto che, né più né meno, stiamo mangiando, letteralmente, merda. Sai che novità, dirà qualcuno.
No, non è una novità, ma fingiamo di non rendercene conto presi come siamo a giocare agli ecobiobau da salotto, ai consapevoli da baraccone che leggono con aria da intenditori le etichette di vini delle terre del conte piripicchio, con vigneti impiantati su una ex-discarica1, o dei ravioli della nonna prodotti da multinazionali del food & beverage. E ciò non riguarda solo prodotti voluttuari come gamberetti per i nostri cocktail, bollicine per l’aperitivo, merendine o schifezze modaiole a base di pesce crudo (vedasi immagine sottostante e questo link correlato). No, riguarda anche i beni primari destinati all’alimentazione: farine, cereali, ortaggi, carne per chi ancora ritiene di consumarne.CV 2017.03.08 Servi 004Intendiamoci, stiamo riferendoci ai comportamenti di massa, e non è che nei bei tempi andati da taluni tanto vagheggiati le cose funzionassero diversamente, basta ricordare le vittime, arse sul rogo, fra tante poverette che, letteralmente, allucinate da un parassita della segale vaneggiavano di congiunzioni carnali con il Maligno ed altre nefandezze. O quelle mietute in tempi anche recenti da scrofola, pellagra, malaria ed altre malattie dovute all’alimentazione insufficiente e malsana, alla vita in indecorosi tuguri e alle prime coltivazioni intensive in aree piemontesi e pavesi in terreni non sufficientemente permeabili. Ne tratteggia uno sconfortante quadro Eravamo poveri, torneremo poveri, il tremendo libro di Giampaolo Pansa che parla della vita nelle nostre campagne a cavallo fra Ottocento e Novecento. Allora c’erano gli alibi dell’ignoranza e del degrado, e oggi?
Ma chi sarebbero, nell’accezione di questo scritto, i “servi”? La risposta è: tutti coloro che dovrebbero essere al nostro servizio a partire dai coltivatori passando per i trasportatori, i trasformatori, i commercianti per terminare con chi fornisce il sostegno finanziario e con gli organismi legislativi e di controllo. Tutti coloro, quindi, che dovrebbero lavorare per noi con dedizione, professionalità, trasparenza e onestà; in un ambito allargato nessun compito, nessun passaggio sarebbero inutili, in una sana logica di mercato. Ciò che invece non solo è inutile, ma anche dannoso, è il concetto che il guadagno non debba essere giusto o etico ma il prodotto di furbizie, vessazioni, frodi e sfruttamento di terre e persone.CV 2017.03.08 Servi 003.jpgIn questo senso i nostri “servi” sono coloro ai quali permettiamo di tenerci in scacco complottando a danno della nostra salute e del nostro portafogli, oltre che delle sorti del pianeta, a nostro parere forse non irrimediabilmente bensì auspicabilmente segnate, così si finisce una volta per tutte con il culo per terra, ci si osserva per ciò che si è realmente, si riparte da capo e non se ne parla più.
Si potrebbe osservare che la filiera, chiamiamola così, è troppo lunga. Vero, ma essa non può comprimersi in assenza della compressione di una domanda di massa superficiale, viziata, tendente al superfluo, al malsano, al fuori stagione ed al minor esborso possibile.
“Come spendi mangi” chiosavano le nostre nonne, e queste tre parole esprimono magistralmente il concetto. Poiché sulle fragole a gennaio o sull’uva a marzo non occorre approfondire, ci limitiamo ad esemplificare attraverso il prodotto tradizionalmente considerato principe della tavola italiana: quella pasta di grano duro il cui prezzo al banco di vendita non supera i 58 centesimi al mezzo chilo. Il grano nazionale viene oggi pagato ai coltivatori 24 euro al quintale – quasi neppure il costo vivo alla produzione – dopo un drastico crollo dovuto all’arrivo nei nostri porti di analogo prodotto estero che ha stracciato il mercato e di cui non si sa praticamente nulla2: non dove e come sia stato coltivato, e soprattutto non in quali condizioni e per quanto tempo sia stato conservato. In alcuni dei paesi di origine era considerato prodotto di scarto buono per mangime o per concime, da noi serve per preparare pasta, prodotti da forno e derivati.
Escludiamo dal discorso la pasta bio realizzata con lino, legumi ed altre farine diverse da quella di grano e venduta al banco ad un prezzo variabile fra 1,80 e 2,70 euro alla confezione da 340 grammi, limitandoci a quella tratta, ipotizzando la sussistenza di tutte le garanzie sanitarie consentite ad un prodotto industriale, da farine tradizionali di ottima qualità. Il suo costo al banco può variare da 1,40 a 2 euro alla confezione da 500 grammi. Tolti coloro che da soli si scofanano mezzo chilo di pasta alla volta, la media dei consumi si attesta sui 70/80 grammi per persona: 2 euro ÷ 500 grammi = 0,004 euro/grammo x 80 grammi = 0,32 euro a porzione e, nell’ipotesi della pasta più economica: 0,58 euro ÷ 500 grammi = 0,00116 x 80 grammi = 0,0928. Un delta di 0,2272 euro a porzione. Considerando che secondo i dati Istat la popolazione nazionale residente in famiglia assomma a 59.132.045 individui su 60.783.407 e che ogni famiglia è mediamente composta da 3,42 persone ciascuno faccia i conti in base ai propri parametri: bambini, adolescenti, anziani, monogenitoriali, single, abitudini alimentari e via enumerando. In ogni caso quei 22 centesimi moltiplicati per 6,84 – nell’improbabile ipotesi che i componenti della famiglia Istat mangino pasta due volte al giorno – assommano a 1,4608 euro e fanno parte del prezzo della salute.
Non c’entra niente con la salubrità, ma un certo modello di telefono Galaxy costa 800 euro, che ammortizzati per soli 365 giorni, visto che l’anno successivo esce il modello nuovo e “bisogna” acquistarlo, fa 2,1917 euro al giorno, senza contare la variabile data dal costo di esercizio.
Decrescita, questa è la soluzione. E decrescita non significa “sviluppo sostenibile”, ossimoro degno della Settimana Enigmistica.
E quello che serve per decrescere, e che una sempre meno sparuta minoranza sta dimostrando di possedere, è una maturata coscienza: sono in costante crescita coloro che hanno assunto atteggiamenti onorevoli quali l’impianto di orti condivisi in città, la conservazione e lo scambio di semi, l’acquisto in cascina o anche solo la sempre maggiore attenzione dedicata alla lettura delle etichette.
Il boicottaggio ha fatto il suo tempo, pur con degnissimi esiti quali quelli conseguiti contro lo strapotere di Nestlè quando decise di entrare a gamba tesa nel business dell’allattamento. Non pensiamo inoltre che la messa al bando di produttori e intermediari scorretti o criminali possa avvenire mediante azioni pseudo terroristiche, ridicole oltre che controproducenti. Il mercato crea, il mercato distrugge. Lo sanno bene molti produttori che, osservata la crescita della domanda di prodotti naturali, stanno progressivamente affiancando alla produzione tradizionale quella biologica. Anche se non sono tutte rose e fiori, come si dice: non infrequentemente dietro certe etichette pseudobio c’è il prodotto tradizionale, spesso di scarsa qualità. Di passaggio, due osservazioni. La prima: pseudobio in quanto il prodotto sembra bio nelle allocuzioni usate per descriverlo ma non lo è, perché se venisse dichiarato come tale senza esserlo le sanzioni sarebbero pesanti. La seconda: un marchio che ci tiene al proprio nome ed alla clientela fidelizzata, queste cretinate non le fa.
Torniamo al “come spendi mangi”: è li che accade il moto rivoluzionario, nel momento in cui la scelta va a privilegiare produttori minori, locali, di provata onestà, aperti al dialogo e all’informazione, nella consapevolezza che non è possibile mangiar bene spendendo poco, anche se in tutta obiettività ci sentiamo di affermare che certe catene ecochic stiano esagerando con i prezzi. Crediamo che i più validi osservatori non siano i convegni ma i supermercati, e spesso accade di osservare che nel carrello, accanto alla pasta al minor prezzo campeggiano casse di bibite gassate e altri veleni.
E quindi è una questione di cultura.
Una maturata consapevolezza può comportare il diventare antipatici qualora al ristorante si dovesse chiedere conto degli ingredienti e della loro provenienza e senza escludere, fingendo di scusarci per esserci persi mentre cercavamo il bagno, di infilare di sfroso il naso in cucina giusto per capire se siamo in una clinica svizzera o in una cloaca.
Una maturata consapevolezza può ingenerare attriti con altri genitori qualora si pretenda che nelle mense di asili e scuole vengano utilizzati prodotti di qualità, realmente naturali e il minor quantitativo possibile, non solo di carne, ma anche di derivati animali.
Qualcuno potrebbe obiettare: ma esistono già organismi come i Nas e Altroconsumo che fanno le pulci a prodotti e produttori, e noi non abbiamo né il tempo né i mezzi per fare tutto questo, e poi tutto sommato non è che possiamo andare a cena con amici e fare la figura dei rompicoglioni, o inimicarci gli altri genitori a scuola. Ecco, a nostro avviso sono queste implicazioni a costituire la verità: essere fuori dal coro, sbattersi è faticoso, noioso, antipatico, può comportare la messa al bando. Meglio atteggiarsi, lamentarsi sui social, rilanciare post allarmistici ma non provvisti della necessaria base scientifica, partecipare a giornate in qualche cuccagnosa cascina ecobiobau per sentirsi a posto la coscienza mentre si marcia verso il baratro accodati al proverbiale pifferaio.CV 2017.03.08 Servi 002Quello che occorre, e di cui la nostra cultura storica onusta di santi, poeti e navigatori difetta, è un diverso atteggiamento verso la scientificità vera e non immaginata, attraverso un’adeguata riconsiderazione del ruolo di agronomi, biotecnologi, chimici, ingegneri, nutrizionisti piuttosto che di filosofi del verde o facilitatori nella risoluzione dei conflitti tra pisum sativum e cicoria pirolina, ed una ritrovata considerazione delle norme nazionali in materia alimentare, spesso ben più restrittive di quelle europee o di altri continenti.
E tenere alla bisogna presente, giusto per concludere, questa ulteriore citazione dal XVIII capitolo de Il Principe: “Dato che il leone non si difende dalle trappole e la volpe non si difende dai lupi, bisogna essere volpe per riconoscere le trappole, e leone per impaurire i lupi.”

Alberto C. Steiner

NOTE
1 – Non accade nella Terra dei Fuochi ma nel civilissimo Friuli: http://robertainer.blogspot.it/2017/03/quei-vigneti-inquinati-sul-carso.html?view=classic&m=1

2 – “Precotto, surgelato, ricotto. Magari con grano coltivato e lavorato fuori dai nostri patri confini: non mangiamo più pane (e facciamo bene)”. Interessante articolo pubblicato da Lacrepanelmuro.blogspot.