L’agricoltura è al collasso

CSE 20200327 Agricoltura collassoMolti moriranno, è nell’ordine delle cose, e ben lo sapeva l’actuarius, ufficiale Romano addetto agli approvvigionamenti che calcolava i fabbisogni di coorti e legioni in base a ciò che si sarebbe saccheggiato nelle terre conquistate ed in base ai morti lasciati lungo l’avanzata.
Dalla figura dell’actuarius prese nome il cosiddetto calcolo attuariale, quello utilizzato dalle compagnie di assicurazioni allorché, su basi sempre più scientifiche, stimano le probabilità di vita e di morte degli assicurati.
Ritengo altamente improbabile che si esca dai domiciliari con un nuovo paradigma: chi non ha compreso nulla finora è ben difficile – al di là dei fervorini dei guru del web che tirano l’acqua al loro mulino che macina pubblicazioni, corsi, seminari, webinar, che in ogni caso la massa non legge – che possa aver maturato una qualsiasi forma di consapevolezza in un mese.
Solo chi era consapevole prima lo sarà ancor più dopo questa esperienza: 90/10. Lo scrissi nell’ormai lontano 2013, e mi dissero che avrei dovuto osservarmi, che disprezzavo gli altri per elevarmi, che le mie ferite erano ancora aperte e tutte le solite minchiate che costellano il campionario spiritual-newage. Bene, lo ribadisco proprio quieora, con la mia mente che a me non mente: 90/10. Anzi, 90/5.
Non appena le stalle riapriranno i bovini si riverseranno in strade, fast-food, pub, slot, negozi di telefonini, si incazzeranno gli uni con gli altri, riprenderanno stupri ed altri reati commessi da immigrati, solo da immigrati. Oltre ai peana sulla todesca e sul franzoso, sull’Europa cattivona e sul complotto che ci esclude e non ci assegna per atto dovuto, per il fatto stesso che esistiamo, sulle scie chimiche e via lamentando.
Stando così le cose è meglio uscire, ora, dalle tane e produrre, e a chi tocca tocca. Meglio pochi che tutti, perché diversamente il rischio è la fame.
Già ci sono stati due segnali ieri: il sequestro, in Puglia, dell’autoarticolato che trasportava derrate e, per quanto forse pilotato, il tentativo di saccheggio di un supermercato a Palermo. Fine della premessa.
Ed ora passiamo all’antefatto: la filiera agroalimentare, nella sua accezione estesa dai campi agli scaffali e alla ristorazione è diventata nel 2019, secondo Coldiretti, la prima ricchezza della penisola occupando 3,8 milioni di addetti e raggiungendo la più che ragguardevole cifra di 538 miliardi di euro di fatturato, 44 dei quali dovuti al record storico delle esportazioni.
L’enogastronomia rappresenta inoltre un volano per il turismo, armoniosamente interconnessa com’è con un paesaggio certamente antropizzato ma segnato da colline solcate da vigneti e da ulivi secolari, da casali in pianura e malghe in montagna, da pascoli e terrazzamenti che contribuiscono a contrastare il dissesto idrogeologico.
I dati Istat pubblicati il 23 dicembre 2019 riferiscono che nel 2017 le imprese agricole erano 413mila, e quelli pubblicati il 13 novembre 2019 riferiscono che nel 2018 le aziende agrituristiche erano 23.615, con un incremento percentuale dello 0,9% sull’anno precedente.
Tutto questo rischia di scomparire.
Il comparto agrosilvopastorale è entrato in una crisi profondissima dalla quale, perdurando le, a mio avviso, dissennate misure governative per il contrasto all’epidemia di influenza sempre più rivestita da golpe, non si risolleverà.
Il settore lattiero-caseario è in coma profondo, quello florovivaistico, massimamente rappresentato nel Nord e che tra marzo e maggio concentra il 90% del suo fatturato, è al collasso.
Il comparto, che vale 2,5 miliardi di euro, si estende su circa 30mila ettari e rappresenta il 5% della produzione agricola totale, contando 23mila aziende e 100mila addetti.
L’AFI, Associazione Florovivaisti Italiani, ha chiesto al governo un’attenta riflessione sulle ripercussioni di ulteriori restrizioni per tutta la filiera della produzione di fiori recisi e piante in vaso: “La questione sanitaria è di primaria importanza per il Paese” ha dichiarato il presidente dell’associazione, Aldo Alberto, specificando come le aziende si siano dimostrate responsabili, tutelando con strumenti di protezione individuale tutti i dipendenti ed aggiungendo: “Riteniamo, tuttavia, necessario che le istituzioni, prima di prendere qualsiasi provvedimento, pongano attenzione agli effetti di una chiusura totale delle regioni del Nord per il settore florovivaistico, che per sua specificità ha una stagionalità molto breve e concentra quasi il 90% del suo fatturato fra i mesi di marzo e maggio.”
Il blocco del Nord, massimo bacino di utenza per il comparto, porterebbe al collasso tutta la produzione, e, conseguentemente, anche una crisi del sistema bancario che finanzia la quasi totalità degli investimenti nel settore.
L’altro settore allo sbando è quello delle orticole, inspiegabilmente lasciate fuori dal segmento del food e la cui mancanza di lavoratori stagionali, bloccati alle frontiere dal governo nazionale nella misura di circa 100mila unità, ha compromesso la raccolta di asparagi e fragole. Poi toccherà a nespole, albicocche, ciliegie.
Significativa la testimonianza di un’azienda del Veronese: “Abbiamo già buttato al macero migliaia di piante di insalata e cavoli e se continua così perderemo il 70 per cento del fatturato della stagione.”
Sono milioni le piante di lattuga, cipolle e cavoli buttate. E la stessa fine, se non si cambia registro, faranno pomodori, cetrioli, melanzane e tutte le verdure che si trapiantano verso Pasqua. Per i produttori di orticole il mese di marzo è andato in fumo e ora si teme per aprile, in caso le misure restrittive decise dal governo dovessero protrarsi.
“Abbiamo le serre piene di piantine di zucchine, insalata, pomodori, zucca, anguria” riferisce Amedeo Castagnedi, referente veronese di Cia Agricoltori italiani, aggiungendo: “Lavoriamo con garden, mercati e ambulanti e il prodotto va a chi si fa l’orto: pensionati, famiglie che abitano in campagna, tanti giovani. Negli ultimi anni c’è stato un grande incremento di vendite per via del ritorno alla campagna e, grazie ai giovani, è esplosa anche la vendita on-line. Siamo chiusi da 20 giorni e ci salviamo un po’ con quella, ma ad oggi abbiamo perso il 40 per cento del fatturato e siamo costretti a buttare ogni giorno migliaia di piantine. E se le misure attuali dovessero protrarsi rischiamo di perdere il 90 per cento della stagione.”
Se il 3 aprile terminassero le restrizioni, molte aziende avrebbero perso dal 40 al 60 per cento ma potrebbero sopravvivere. Se invece la chiusura dovesse protrarsi il rischio è il fallimento, con milioni di euro persi e decine di migliaia di lavoratori consegnati alla miseria.
Solo nel Veneto sono 1.600 le aziende florovivaistiche, ed impiegano complessivamente 50mila addetti per un fatturato annuo di circa 210 milioni di euro.
In Lombardia, la regione con la superficie agricola più estesa d’Europa e numeri che tirano l’intero settore, il disastro va considerato più che triplicato.
Sono nate in questi giorni varie iniziative di vendita on-line mediante portali dove è possibile vendere cibo e piante, ma costituiscono una goccia nel mare.

Alberto Cazzoli Steiner

Sorella Acqua: stato dell’arte

La trentanovesima edizione del Festival del Cinema Africano1, tenutasi a Verona dall’8 al 17 novembre, ci ha riportati ad alcune riflessioni su un tema a noi particolarmente caro, quello dell’acqua.CSE 2019.11.26 Acqua 001Poiché siamo in ambito di cinema africano facciamo nostro il filo conduttore di uno scritto pubblicato in questi giorni su Nigrizia2 a firma di Alex Zanotelli3, il combattivo padre Comboniano che già il 20 novembre di dieci anni fa, all’indomani dell’approvazione in Parlamento della cosiddetta Legge Ronchi4, si scagliò contro coloro che la votarono al grido di “Maledetti voi!” facendo propria l’espressione usata da Gesù secondo il Vangelo di Luca: “Maledetti coloro che hanno votato per la mercificazione dell’acqua. Noi continueremo a gridare che l’acqua è vita, l’acqua è sacra, l’acqua è un diritto fondamentale umano, perché questa è la più clamorosa sconfitta della politica, è la stravittoria dei potentati economico-finanziari e delle lobby internazionali. È la vittoria della politica delle privatizzazioni, degli affari, del business.”
Dal novembre 2009 al giugno 2011 il passo fu breve, e il disastro delle coscienze totale nel fare strame della volontà popolare dimostrando che non da oggi l’Italiland è saldamente in mano ad una losca cricca malavitosa che nessuno schieramento politico e nessun movimento finto spontaneo potranno mai scalfire.
Spesso anzi partiti e movimenti, ad onta di ciò che viene ammannito ad una base di zombie sempre più inconsapevoli, esistono per tirare la volata a potentati economici dietro ai quali si nascondono, ma nemmeno tanto, gruppi criminali.
Come sarebbe a dire nemmeno tanto? Certo, nemmeno tanto, nel momento in cui tali gruppi e le loro esteriorità vengono prese trasversalmente a modello, secondo un copione tipico delle società culturalmente sottosviluppate e, spesso, di matrice cattolica. I casi latino americani, nell’agghiacciante silenzio dei media che contano, sono sotto gli occhi di chiunque sia in grado di vedere.
E quindi l’acqua.
Infatti si fa presto a parlare di acqua pubblica, quando 26 milioni di ‘’ non sono bastati per trasformare il modello di gestione del servizio idrico nazionale. A otto anni dal referendum del 12 e 13 giugno 2011, nel quale il 54% degli elettori affermò la propria opposizione ad ogni forma di privatizzazione, non solo le tariffe non sono cambiate ma si è anzi sviluppata una pletora di società che, come per gas, energia elettrica e telefonia, sciacalla l’ultimo miglio, l’ultimo metro, l’ultimo centimetro di rete di trasporto per campare sul nulla drenando ciò che nelle tariffe generali è già previsto come surplus, per poter giocare a praticare sconti giustificando l’esistenza di queste aziende parassite.
Dal 2011 ad oggi si sono viste città come Ferrara, che hanno ridotto la partecipazione pubblica nelle multiutility, e regioni, come Red Tuscany, che davanti alle richieste dei comitati hanno attuato la tipica sgtrategia della sinistra, chiudendo la porta al dialogo.
In ogni caso, ad otto anni dal referendum, l’acqua non è uscita dal mercato, nonostante i sette governi alternatisi, che hanno visto in sella esponenti politici che, pur eletti dal popolo sovrano, se ne fregano di ciò che ventisei milioni di persone appartenenti a quel popolo hanno deciso nel giugno 2011, affermando che l’acqua deve uscire dal mercato e che non si possono fare profitti sull’oro blu.
Politica sorda e popolo smemorato, esaurita l’onda emotiva. È un conto che chi detiene il potere sa fare benissimo e chissenefrega di cambi di casacche, opinioni, ruoli in corsa. Tanto non se ne accorge nessuno.
E anche fosse, due parole per intortare gli incauti si trovano sempre.
Un esempio? L’attuale presidente della Camera Roberto Fico, che mosse i primi passi proprio lottando, a Napoli, a favore dell’acqua che definì diritto umano fondamentale, tanto da affermare, invitando in parlamento i rappresentanti del Forum dei movimenti per l’acqua: “Lego la mia presidenza alla legge sull’acqua.”
Gli italilandesi hanno dimenticato, o forse non hanno mai saputo, storditi fra jus-sola e migranti tanto nullafacenti quanto arrapati, che nel famoso “contratto” del governo giallo-verde, l’acqua pubblica compariva, nella lista, al primo posto.
L’acqua che si sarebbe dovuta sottrarre allo strapotere di controllo ad Arera, autorità il cui fine è la gestione dell’acqua nel mercato, per restituirla al ministero dell’Ambiente, è ancora lì, esattamente dove stava prima. Anzi, approvando il decreto Crescita, è stata di fatto privatizzata l’acqua di Puglia, Basilicata e Campania.
Inquietanti anche il silenzio e l’inazione dei due presidenti della repubblica susseguitisi nella carica dal giugno 2011, nonostante il dovere costituzionale di richiamare i governi all’obbligo istituzionale di tradurre i referendum in leggi.
La prima vittima di questi veri e propri tradimenti, particolarmente gravi in un momento così difficile, sarà il bene comune più prezioso: l’acqua. Ed a pagarne le conseguenze saranno i poveri.
Ma, dimostrazione che il centralismo ha ormai fatto il suo tempo e che la democrazia cosiddetta rappresentativa è putrescente, a livello locale il lavoro per ottenere la gestione pubblica dell’acqua continua, spesso conseguendo ottimi risultati: Agrigento, Benevento, Brescia, Napoli.
Tra i significativi piccoli passi dal basso anche quelli, per noi particolarmente significativi, compiuti da una comunità montana inferiore ai mille abitanti, quella della Valle dei Ratti, 11 chilometri tra Valtellina e Valchiavenna ad un’altitudine media di 1.200 metri e priva di strade carrozzabili: senza clamore e senza scendere in piazza hanno semplicemente detto No al tentativo di appropriazione della loro acqua da parte di un gruppo finanziario attivo nel settore dell’energia.
La loro disobbedienza civile che, silenziosamente, ha paralizzato per un paio di mesi l’attività locale, è bastata per fare capire che non era aria. C’è da dire che queste persone sono state fortunate: in fondo il piatto non era, evidentemente, così appetibile, perché lupara bianca non è mai andata in pensione, non solo in America Latina o in Sicilia.

Alberto Cazzoli Steiner

NOTE
1 – Festival del Cinema Africano
Trattasi di un festival cinematografico internazionale dedicato al continente africano, promosso per la prima volta nel 1981 dalla rivista Nigrizia.
In questa edizione, tenutasi tra Verona e 25 località della provincia, è stata rappresentata la realtà di 15 paesi: Algeria, Burkina Faso, Ciad, Egitto, Kenya, Madagascar, Marocco, Mauritania, Nigeria, Rwanda, Senegal, Sudafrica, Sudan, Swaziland, Tunisia attraverso 145 proiezioni, 30 delle quali lungometraggi, ed il coinvolgimento di 7.500 studenti e studentesse e 600 docenti di scuole di ogni ordine e grado.
Lo sguardo sull’appena trascorsa edizione è stato focalizzato a partire dalla mostra allestita al Museo Africano di Verona, uno dei più importanti sul territorio nazionale ma ignorato dal circo della cultura ufficiale, compresa quella dell’inclusione, perché non nato da lombi né dei circoli Arci né delle sacrestie.
Come sempre, un invito a cambiare prospettiva osservando con altri occhi, per contribuire al cambiamento di visione, per andare al di là della percezione restrittiva, contaminata da pregiudizi e prese di posizione che hanno poco a che fare con l’orizzonte, anche culturale, ampio e variegato che caratterizza questo continente.
Anno dopo anno, il Festival è cresciuto. Non più solo cinema in sala, ma workshop con i nuovi cittadini di origine africana, con l’attrice Takoua Ben Mohamed e il musicista Tommy Kuti, aperitivi con i registi e le comunità africane presenti nel territorio, presentazioni di libri, spettacoli teatrali, laboratori per famiglie.
Cresciuto anche il numero delle giurie coinvolte, da quella internazionale a quella degli esperti, affiancate dagli studenti dell’Università di Verona e dai detenuti della Casa circondariale di Montorio.
2 – Nigrizia
Nigrizia è la rivista mensile dei missionari comboniani dedicata al continente africano: annovera tra i suoi più noti collaboratori Alex Zanotelli ed altri autorevoli giornalisti e scrittori, africani e non.
fondata nel gennaio 1883, sostituì gli Annali, bimestrale fondato nel 1872 dall’Associazione del Buon Pastore con lo scopo di diffondere i testi di Daniele Comboni, che fu il primo vescovo di Khartoum.
A partire dal 1965 la rivista pose sempre maggiore attenzione alle vicende politiche locali, fornendo un’ottima visione dell’Africa post-coloniale e dando spazio ad una profonda riflessione autocritica sul concetto di missione. In questo periodo iniziò la collaborazione con due settimanali africani, l’Afrique Nouvelle di Dakar e La Semaine africaine di Brazzaville.
L’attuale direttore è Efrem Tresoldi. Negli anni novanta del secolo scorso la rivista accentuò l’interesse per le problematiche economiche legate alla globalizzazione, ai flussi migratori verso l’Europa, offrendo un punto di vista molto attendibile dal Sud del mondo.
3 – Alex Zanotelli
Alessandro, Alex, Zanotelli, nato a Livo, in provincia di Trento, il 26 agosto 1938, appartiene alla comunità missionaria dei Comboniani.
Iispiratore e fondatore di diversi movimenti tendenti a creare condizioni di pace e giustizia solidale, entra giovanissimo in seminario e nel 1964 viene ordinato sacerdote nell’ordine dei Missionari Comboniani del Cuore di Gesù.
Dal 1965 al 1973 è missionario nel Sudan meridionale martoriato dalla guerra civile.
Nel 1978 assume la direzione di Nigrizia, edita dai Comboniani hanno presso la casa madre di Verona, contribuendo a trasformarlo da mensile di informazione religiosa ad organo di informazione sociale e politica sulla situazione africana.
Lascia la direzione nel 1987 ed oggi vive a Napoli.
Padre Alex Zanotelli ha sempre sostenuto che i riti della religione cattolica vanno adattati alla cultura africana in modo da essere rispettosi della sua identità.
4 – Legge Ronchi
Con tale denominazione si intende la conversione del Decreto Legge 135/2009 che conteneva “disposizioni per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle comunità europea” ponendo l’obbligo di privatizzare almeno il 40% delle partecipazioni delle municipalizzate.