Il futuro? È nelle mani dei giovani e degli imprenditori sociali

Con il trascorrere del tempo sono sempre più felice di non aver dato corso, pur avendone ottenuto le necessarie abilitazioni, alla carriera di giornalista: durante il tirocinio scrissi su La Libertà di Piacenza, Il Corriere di Sesto San Giovanni e, ebbene sì, anche L’Unità, e debbo dire con esiti lusinghieri.
Ho però evitato di far parte di quel mondo, rivelatosi falso, servo, vile, infingardo, superficiale, ignorante e, lo constatiamo quotidianamente, frequentato da gente massimamente priva di dimestichezza con la lingua di Dante.
Il giornalista doc è oggi una mera puttana esecutrice di ordini di scuderia: purché la paghino scrive ciò che le dicono di scrivere e secondo una ben precisa metrica, evitando accuratamente di menzionare fatti non attinenti l’ortodossia del momento. Detto in altri termini, una vera merda.
Esistono le eccezioni, è ovvio, ma vengono messe al margine, godendo al massimo di uno spazio di finta opposizione, oggi condiviso con comunisti pentiti, avvocati falliti ed ex-militari opportunisti in modo da confondere sempre più il popolo bue.
Esaurita questa premessa veniamo al dunque, previo un cameo sicuramente insignificante per la massa dei beoti ma che mi addolora ed inquieta: il secolare abete rosso, eradicato dai boschi del Trentino e installato in piazza San Pietro a Roma per essere addobbato quale albero di Natale sta morendo ma, nonostante sia in fin di vita, trasmette ancora impulsi elettrici, la voce attraverso cui gli alberi comunicano.
Tragica ironia: un albero morente posto a celebrare la vita, la rinascita, nell’agorà di una religione di sangue, morte, antropofagia, inciuci e traffici spesso innominabili.
E non venitemi a raccontare che simboleggia il percorso alchemico morte-putrefazione-trasformazione-rinascita.
Che la Commare Secca volteggi sempre sempre più nei cieli del nostro tempo non è un mistero: da più parti si tende alla solerte esecuzione di un preciso disegno: l’espunzione identitaria per giungere alla disumanizzazione ed alla consistente riduzione della popolazione mondiale.
La ricreazione, nata dalla rivoluzione industriale è finita, e con essa la torta di riso (citazione da I Pirati dei Caruggi): per chi detiene il potere è d’uopo tornare ad un mondo di servi della gleba, acritici ed acefali automi da impiegare come schiavi-consumatori.
E quindi vai di epidemie farlocche, vaccini letali, restrizioni alla libertà ed alla dignità, che trovano per altro vasto consenso in una maggioranza lobotomizzata.

Ma state sereni: le mutazioni genetiche non riguardano solo gli esseri un tempo umani. A firma Cinque Stelle è pronto un disegno di legge che accelera le procedure per la diffusione di nuovi prodotti biotecnologici, propagandati come non-Ogm in quanto ingegnerizzano organismi della stessa specie, invece di incrociare specie diverse: una svolta devastante contro il principio di precauzione a firma dei deputati membri della Commissione Agricoltura della Camera Chiara Gagnarli, Giuseppe L’Abbate, Luciano Cadeddu, Luciano Cillisi, capeggiati dal presidente Filippo Gallinella.
L’ennesimo voltafaccia del partito che ha sempre fatto della contrarietà alla manipolazione genetica una delle sue bandiere, e che non voleva governare con il partito di Bibbiano.
La proposta di legge, modificando il decreto 8 luglio 2003 n.224, sdogana le procedure per l’utilizzo di varietà vegetali ottenute in laboratorio con tecniche di genome editing e cisgenesi. Un fatto mai avvenuto finora per la ferma opposizione dei consumatori, degli agricoltori e delle organizzazioni ambientaliste. Questa mossa rischia di esporre ulteriormente l’agricoltura alla contaminazione da Ogm e alla biopirateria, danneggiando gli agricoltori e la qualità del cibo in un paese che ha sempre visto una forte opposizione pubblica ai prodotti della manipolazione genetica.
Pare che, fra gli altri, i produttori di quel liquido apparentemente commestibile chiamato prosecco si stiano spellando le mani per applaudire un falso scientifico che ha fini meramente politici ed economici, sovrapponibili a quelli dei grandi gruppi multinazionali interessati alla coltivazione dei nuovi Ogm per sfruttarne i diritti di proprietà intellettuale.
Naturalmente, non verranno valutati i rischi ambientali, sanitari ed economici prima della commercializzazione, utilizzando così contadini e consumatori come cavie. Esattamente come sta accadendo con i sieri benedetti.
Ma il mainstream ed il popolo bue pensano a colpevolizzare i no-vax.
Fortunatamente non mancano movimenti e fermenti veramente alternativi al pensiero unico dominante, anche se gli organi di disinformazione di regime non ne parlano.
Nella cornice delle Officine Grandi Riparazioni, monumentale complesso ottocentesco torinese un tempo dedicato alla manutenzione dei veicoli ferroviari, il 2 dicembre si sono incontrati i changemaker, innovatori che cambiano il mondo con la forza dei loro sogni: imprenditori sociali, studenti, professionisti, membri di fondazioni e istituzioni pubbliche.
Erano circa tremila, provenienti da 90 paesi e seduti vicini vicini, liberi di respirare senza stracci in faccia. Che sappiamo non è morto nessuno, fulminato dal coviddium.
L’evento è stato promosso da Ashoka Italia, organizzazione che da oltre 35 anni costruisce e sviluppa la più grande rete mondiale di imprenditori sociali.
Ma chi sono questi imprenditori sociali e cosa fanno? Chi sono questi changemaker? Semplicemente persone alle quali brillano gli occhi di amore ed entusiasmo, e che si battono per il futuro di una nuova società basata sullo stare insieme, ciascuno alla propria maniera avendo il coraggio di fare il primo passo, credendo nelle proprie capacità, nel futuro e nelle comunità connesse.
Le loro testimonianze parlano di modi innovativi di fare scuola, del potere di diversità, inclusione e innovazione, del ruolo della filantropia, di come dare energia alle aree decentrate, portando esperienze che hanno già creato impatti positivi sui territori.
E poi c’erano i giovani: coraggiosi, motivati, ispirati, nuovi di zecca, che non ascoltano chi dice loro di smetterla di sognare ad occhi aperti.
Giovanissimi, prevalentemente ventenni, spinti da motivazioni più grande delle loro già grandi idee, ribaltando con la loro energia i luoghi comuni portati avanti dai molti, compreso quel nano porco veneziano che vede le nuove generazioni come fannulloni o scansafatiche.
Il bello è che quando parliamo di innovatori sociali ci immaginiamo visionari ed eroi con i superpoteri che fanno cose che tutti gli altri non possono fare. Nulla di più sbagliato, solo persone il cui superpotere è semplicemente quello di credere nelle loro idee, e di voler contribuire a cambiare questo paese, pezzo dopo pezzo, perché il futuro non appartenga solo a pochi eletti, ma a tutti.

Alberto Cazzoli Steiner

Ritrovare l’autonomia alimentare nell’Europa dei muri che uniscono

L’immondo virus, inventato per imprigionare corpi, istupidire menti ed annichilire anime facendo tracimare la parte peggiore degli esseri cosiddetti umani, può rappresentare un’irripetibile opportunità di crescita nella decrescita, possibile attraverso una consapevole rivalutazione dei localismi.
Coerentemente con i temi trattati da CondiVivere mi riferisco, in particolare, all’incombente grave crisi alimentare mondiale.
Dal loro limitato orizzonte gli italilandesi festeggiano l’apertura degli stabielli ai transiti interregionali, oppure la contestano come dimostrano gli ignobili insulti lanciati dai liguri ai milanesi riversatisi sulle si fa per dire spiagge della regione.
Ma nessuno che alzi lo sguardo oltre la siepe, nessuno che al di là delle chiacchiere da social bar sia in grado di comprendere come la festa non sia affatto finita, e che il peggio stia per arrivare. E non mi riferisco a divisori di plexiglass tra i banchi di scuola, non mi riferisco a vaccini o microchip, ma alla fame.
A causa della riformulazione in atto del concetto di trasporto, ed alle restrizioni all’esportazione attuate da numerosi stati sin dall’inizio della crisi, il libero scambio si è grippato, nessun paese è immune dalla riduzione e dall’interruzione dei flussi e ciò porterà a riconsiderare, tra gli altri aspetti, quello della possibile cessazione della globalizzazione delle disponibilità e, in subordine, quello della stagionalità.
La questione non riguarderà tanto banane, mango, papaya, ananas ed altri frutti, germogli, bacche, legumi esotici che potrebbero scomparire dagli scaffali dei nostri supermercati, o tornare ad essere delle costose rarità, quanto prodotti di necessità primaria, come le granaglie, che rappresentano oltre il 90% delle importazioni e dai quali i fabbisogni alimentari della penisola dipendono in misura prossima al 60 per cento, senza dimenticare la soia americana destinata alla nutrizione animale.
Non ho mai creduto nel villaggio globale ma, pur propugnando da anni la costituzione di piccole comunità il più possibile autonome, non sono isolazionista.
Proprio per tale ragione desidero sviluppare l’argomento di oggi richiamando un articolo che pubblicai il 27 agosto 2016, intitolato L’Europa minore dei muri che uniscono, del quale riporto un estratto:CV 2020606 001«Ci piacciono le notizie di nicchia, quelle di cui nessuno parla perché non funzionali a fomentare odio, paura o sindrome del complotto. Quella sui muri a secco della Val Poschiavo è una di queste.
Il paesaggio montano è fortemente caratterizzato, anche culturalmente, dai muri a secco che sottendono spesso terrazzamenti sui quali – grazie ad un faticoso riporto di terra – vengono coltivate specie che danno origine a qualificate produzioni tipiche: per esempio i preziosi vigneti di Valtellina.
A dimostrazione della continuità e della contiguità antropologica sono presenti, nella medesima tipologia, anche sul versante retico settentrionale, appartenente amministrativamente al Cantone svizzero dei Grigioni e costituente parte integrante del Patrimonio Mondiale Unesco anche grazie alla presenza della RhB, la Ferrovia del Bernina, pregevolissima opera di ingegneria armoniosamente inserita nel paesaggio tanto da costituirne oggi una componente imprescindibile.
Per mantenere viva la memoria delle tecniche costruttive, con l’obiettivo preciso di garantire la trasmissione della conoscenza e del sapere legati alla costruzione a regola d’arte di questi manufatti, l’Associazione Polo Poschiavo con sede nell’omonima cittadina e Unimont, l’Università della Montagna con sede a Edolo, organizzano dal 6 al 10 settembre prossimi (il riferimento è all’anno 2016 – NdR) il 3° Corso pratico finalizzato alla comprensione, realizzazione e manutenzione dei muri a secco: rivolto a muratori, apprendisti, agricoltori, professionisti prevede la realizzazione di un muro a secco con intercalate lezioni teoriche e visite ad analoghe strutture realizzate.»
L’articolo parla di muretti a secco, ma il senso è estensibile all’agricoltura nelle sue contiguità internazionali, macroregionali, locali per arrivare a quel concetto di piccolo che consente di riprendere a pensare in modo da soddisfare le esigenze della comunità, lasciando comunque spazio agli scambi.
Non è detto che lo spettro della penuria alimentare incomba sulle popolazioni più vulnerabili, per esempio sulla solita Africa subsahariana.
La rottura delle catene degli approvvigionamenti inasprirà fame e malnutrizione a causa della difficoltà di accesso al cibo dovuta all’aumento dei prezzi ed agli stoccaggi di cereali e riso.
Nel favoloso mondo di Amélie della globalizzazione nessun paese dispone oggi di accantonamenti strategici capaci di assorbire le necessità consentendo di attendere l’estinguersi della crisi.
Le stesse componenti dei mangimi che nutrono il bestiame da latte o da macello provengono dai luoghi più disparati del pianeta, insieme con fosfati, azoto minerale, fertilizzanti, petrolio per alimentare i camion che riforniscono i supermercati, metano per il riscaldamento. Il tutto prevalentemente trasportato via strada, ferrovia, mare e nuovamente ferrovia e strada sino alla consegna.CV 20200606 002La nostra illusione di sicurezza alimentare permarrà solo fino a quando i flussi del trasporto non si interromperranno, per sempre od anche solo per un mese.
Ciò accade anche perché nel corso degli anni, promuovendo l’idea di coltivare ciò che rende maggiormente, importando il resto, si è data la stura ad eccessive specializzazioni agricole, atuate su vaste aree spesso frutto di speculazioni, consumo del suolo e nocumento alla biodiversità quando non provento del land-grabbing.
Ma l’emergenza ci sta dimostrando non solo quanto sia strategicamente suicida dipendere dall’estero per prodotti di prima necessità, ma anche come le persone dalla mente non ancora offuscata si siano organizzate, autonomamente o in minuscoli consorzi di acquisto, ricorrendo a circuiti di prossimità, alla spesa in cascina, ai gruppi di acquisto solidale.
Ma ciò, per quanto sia importante sotto il profilo di una ritrovata consapevolezza, costituisce un fatto marginale, al quale si affianca un inevitabile cenno alla capacità di spesa: comprare in cascina non costa come farlo al supermercato, a dimostrazione che la qualità non può essere svenduta.
Non bisogna però dimenticare chi non ha più un lavoro, chi sta erodendo o ha eroso i risparmi, chi è già oggi alla fame e non può ricorrere all’aiuto che molte organizzazioni pubbliche e private stanno fornendo. Costoro effettuano acquisti di prodotti commercializzati a basso, quando non bassissimo, prezzo nelle varie catene discount. Nutrendosi con cibi di infima qualità, vera e propria spazzatura velenosa destinata ad ingenerare patologie anche gravi.
Impennate di prezzi di particolare gravità non se ne sono viste ma, anche a detta di militari, evidentemente tanto esperti di strategia quanto inascoltati dal circo cialtrone della politica, il rischio peggiore potrebbe essere ingenerato da un qualsiasi fattore che comporti il blocco dei trasporti, evenienza che rivelerebbe l’assoluta impotenza dovuta a magazzini privati e pubblici vuoti ed all’incapacità di produrre a livello locale in quantitativi sufficienti.
In tal caso l’ipotesi di sommosse e di assalti alle aziende agricole è considerata tutt’altro che remota.
Conclusione: la soluzione, non immediata negli esiti ma per la quale è necessaria una pronta progettazione, consiste nell’instaurazione di piccole comunità che, letteralmente, si coltivino il proprio orticello in modo da garantire l’autoconsumo.
Va tenuto presente che in regioni come la Lombardia, notoriamente la superficie coltivabile più importante d’Europa, gli appezzamenti di terreno sono sempre più concentrati nelle mani di aziende agricole di notevoli dimensioni. Ed anche questo costituisce, unitamente alle monocolture da reddito, un grosso problema.

Alberto Cazzoli Steiner