L’amico Lorenzo Pozzi ha pubblicato oggi su Archeologia Ferroviaria l’interessante articolo 8 novembre 1982: l’Italia ferroviaria divisa in due dedicato all’esondazione del fiume Taro avvenuta nella notte fra l’8 e il 9 novembre 1982 e che, letteralmente, spazzò via tre piloni del ponte ferroviario sulla linea Milano – Bologna dividendo l’Italia in due sino alla posa di un manufatto provvisorio ed alla successiva ricostruzione del ponte danneggiato.Nulla di nuovo, naturalmente. Il disastro del 1982 fu preceduto da quello del 1973 e seguito da quello del 1987, al quale seguirono quello dell’autunno 2000 (questa volta fu il Po) e quello di due anni fa che interessò solo marginalmente la provincia di Parma, abbattendosi più intensamente su Modenese e Reggiano.
A parte l’alluvione di Firenze del 1966, quelle del Polesine nel 1924 e nel 1951, i disastri in Valtellina nel 1906, nel 1929 e nel 1987, quello nella biellese valle del Cervo e quello in val d’Ossola, quello di Monza nel 2003 e quello… e quello… e quell’altro… e a parte il fatto che da quasi un secolo a Milano ogni volta che piove l’Olona esce e nel quartiere di Niguarda si va in barca, lo stato idrogeologico del nostro Paese gode ottima salute.
Un tempo ero un idealista, successivamente divenni pessimista. Ora, a parte le cose che mi riguardano direttamente, lo ammetto: me ne sto alla finestra a guardare. Tentare di risolvere i problemi di questa baracca che qualcuno insiste a chiamare paese è come insistere nel pestare la testa contro il muro, con l’inevitabile risultato.
Si spendono un sacco di soldi ma non si sa per cosa, visti i risultati. In ogni caso la soluzione non consiste nell’arginare i danni provocati da un abuso del territorio, la soluzione consiste proprio in un utilizzo diverso del territorio, per esempio nella non cementificazione degli alvei, per esempio curando la manutenzione dei boschi, per esempio non abbandonando il territorio a se stesso. Lo so, tutte cose già dette.
Dimenticavo… la storia delle casse da morto. L’alluvione del 7 novembre 1973 colpì molte località delle valli del Taro e del Ceno. Tra queste Bedonia, dove la fuoriuscita di un piccolo rio provocò l’allagamento della parte retrostante di un palazzo storico, area che si trasformò in un vero e proprio lago con quattro metri d’acqua e dove decine di bare fuoriuscite dal magazzino di una ditta di onoranze funebri che nel palazzo aveva sede presero a galleggiare come canoe. Dopo oltre quarant’anni questa lugubre scena rubata all’apocalisse rimane ancora ben salda nell’immaginario dei bedoniesi rimane ben salda, tant’è che tuttora l’evento è ricordato come “l’alluvione delle casse da morto”.
Alberto C. Steiner
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