Perché il cohousing non sia solo un bell’ecogioco di società

Abbiamo partecipato al convegno tenutosi il 14 corrente presso l’Università di Verona rilevando, oltre ad una partecipazione notevolmente superiore alle più rosee aspettative degli organizzatori, spunti di estremo interesse e chiarificatori dello stato dell’arte.
Notevole il filmato L’abitare sostenibile presentato da Isabelle Dupont dell’università di Roma Tre: quattro esempi, e tra questi quello relativo ad uno storico ecovillaggio situato in Toscana, improntati a concretezza e logica del fare.
I numeri riferiti dai relatori sono sintomatici: esistono oltre un migliaio di cohousing nel mondo occidentale, il che ne fa in ogni caso una soluzione abitativa di nicchia. A fronte di questi, quelli italiani (nel nostro paese di parla di cohousing da circa un quarantennio) constano attualmente soltanto in 22 esempi di residenza condivisa mentre una cinquantina di iniziative sono in corso, quasi tutte ferme alla fase di discussione teorica.Cesec-CondiVivere-2014.11.21-Identikit-Cohouser-002.jpgA nostro avviso, come abbiamo sottolineato nel nostro, non previsto, intervento che ha letteralmente riscosso applausi a scena aperta – segno che c’è voglia di concretezza dopo decenni di ecochiacchiere? – la ragione risiede nell’incapacità di uscire dal circolo vizioso che attribuisce alle pubbliche amministrazioni l’indebito potere di essere i soggetti attivi nella politica del cohousing, non ipotizzando la realizzazione di complessi coresidenziali come normali interventi privati da lasciare all’iniziativa privata ma come oggetto di bandi, assegnazioni, graduatorie, concessioni a vario titolo di immobili.
Ciò pertiene a nostro parere a quella cultura residuale di una sinistra intellettuale, ormai defunta e putrefatta ma che viene tuttora indebitamente accreditata come l’unica capace di coagulare iniziative ecosostenibili.
Quella, purtroppo, è la cultura delle interminabili discussioni, è la cultura del non fare, è la cultura dello stato che deve fare-dare-assegnare, che stabilisce come pensare: lo provano le graduatorie di merito nelle ipotesi di assegnazione di residenze in cohousing e, non da ultimo, è la cultura di chi bofonchia di urbanistica e riqualificazione del territorio ma non ha mai visto un cantiere, nemmeno nella pausa pranzo. E peccato che il cohouser, per comprarsi casa, sottoscriva un mutuo e nemmeno a condizioni agevolate.kl-cesec-cv-2014-01-31-ecovillaggio-ces-003Un disegno di legge, ora promosso da M5S ma precedentemente dal PD, propone addirittura classi di merito e vincoli alla proprietà ed alla negoziabilità dell’immobile.
Per quanto ci riguarda, e lo diciamo e lo scriviamo da anni, il recupero di un edificio per il suo riutilizzo in qualità di coresidenza prevede il rapporto con la pubblica amministrazione solo, ed esclusivamente, per quanto riguarda l’urbanizzazione primaria e secondaria, la dia, la scia, l’antisismica, l’impatto ambientale, il recupero volumetrico. Anche relativamente all’aspetto finanziario preferiamo ricorrere all’iniziativa privata mediante il ricorso a mutui e investitori etici privati.
Questo non solo non impedisce ai futuri coresidenti di essere sul territorio con iniziative sociali, culturali, ambientali, ma anzi agevola le azioni proprio perché svincolate da pastoie burocratiche o valutazioni di merito politico funzionali a raccattare voti. E si ha una definizione concreta e univoca in termini di identità e potenzialità operativa, proprio perché svincolati dal politico di turno che oggi dice A, domani dice B e dopodomani si rimangia tutto perché non ha più la convenienza a sostenere l’iniziativa.cesec-condivivere-2014-10-20-ecovillaggio-005Sconosciuto ai più e noto solo a chi si interessa di archeologia industriale e ferroviaria, Cà di Landino è un villaggio operaio, oggi sempre più esposto alle conseguenze dell’abbandono, realizzato a partire dal 1919 per alloggiarvi le maestranze che contribuirono alla costruzione della Grande Galleria dell’Appennino, un campo base realizzato dapprima con baracche in legno successivamente sostituite con edifici in muratura popolato da centinaia di operai. Una volta terminati i lavori fu utilizzato per ospitare alcune colonie estive.
Cà di Landino, frazione del comune di Castiglione dei Pepoli, in provincia di Bologna, dal quale dista 1,62 km, sorge a 602 metri di altitudine alle pendici del Monte Gatta ed è circondata da boschi di faggi e castagni. Oggi vi risiedono 24 anime: dieci maschi e quattordici femmine
Il villaggio presenta tutte le caratteristiche per essere riportato a nuova vita. Discutemmo una proposta in tal senso, supportata dalle necessarie competenze progettuali, dal supporto finanziario e dall’Università di Bologna con l’appoggio della Comunità Montana il 26 febbraio 2013: l’intento era quello di farne un complesso residenziale in cohousing ed un centro per lo sviluppo di attività artigianali con inclusione di portatori di disagio sociale. La proposta rimase lettera morta, sembrava anzi che dessimo fastidio (nostro articolo 9 settembre 2016: Mappare l’abbandono).
Conosciamo realtà che, in un decennio di incontri, non sono ancora riuscite a trovarsi un nome, altre che sono ancora al palo con la storia del facilitatore per la risoluzione dei conflitti ed altre ancora che organizzano giornate di studio dove, anziché nozioni tecniche, pratiche o normative, vengono scambiati massaggi shiatsu per concludersi con il cerchio di condivisione al suono del tamburo sciamanico. Questa, come abbiamo avuito modo di dire a suo tempo, è fuffa (21 febbraio 2014: Percorsi per ecovillaggisti. Formativi?).
Ed un esempio che non dev’essere taciuto riguarda infine la dolorosa vicenda dell’autocostruzione assistita che ha visto coinvolte centinaia di famiglie truffate da una società (ovviamente cooperativa, ed ovviamente legata a onlus e ong) accreditata presso numerosi enti locali, e che dobbiamo purtroppo collocare nel pianeta cohousing.
Scrivevamo in proposito il 1° dicembre 2016, nell’articolo Il nostro contributo al referendum: “Ancora in alto mare le vicende, massimamente finanziarie e giudiziarie, degli innumerevoli poveri cristi che a partire da un decennio fa si sono fidati di una ong, che si dichiara solo “omonima” di una pletora di srl e di un oceano di cooperative, e che sbandierando inoppugnabili credenziali ha, letteralmente, scannato come si fa con un capretto innocente il sogno di molti di possedere finalmente una casa, attraverso l’autocostruzione assistita. Comuni, Regioni, Aler e persino banche più o meno etiche si sono dati un gran daffare per accreditare questi soggetti varando piani urbanistici, rilasciando autorizzazioni edilizie e finanziando progetti. Risultato: a Ravenna, Trezzo d’Adda, Vimercate, Brugherio, Vimodrone, Marsciano, Villaricca, Piedimonte Matese ed in altre località (che le guide del TCI si ostinano a definire ridenti) scheletri di case costruite male ed oggi abbandonate, famiglie disperate che oltre ad aver perso ore di lavoro si ritrovano indebitate e senza la speranza di avere una casa, domande che rimbalzano contro muri di gomma.”
Questo per dire che a nostro parere il cohousing – che riteniamo una splendida risposta alle sfide sociali, economiche ed ambientali ed alle istanze di condivisione e solidarietà – deve essere visto in una logica d’impresa, sociale fin che si vuole ma all’insegna dell’iniziativa privata. Altrimenti rimarrà argomento di ecodotte disquisizioni intellettuali confinate nei salotti ecochic o nelle feste in cascina.

Alberto C. Steiner

Mappare l’abbandono

Per una volta non parliamo di realtà agrosilvopastorali ma di un sito archeoindustriale che per questa circostanza assumiamo come emblema dell’abbandono: Cà di Landino.
Sconosciuto ai più e noto solo a chi si interessa di archeologia industriale e ferroviaria, è un villaggio operaio realizzato a partire dal 1919 per alloggiarvi le maestranze che contribuirono alla costruzione della Grande Galleria dell’Appennino.cv-2016-09-09-ca-di-landino-004Fino al 22 aprile 1934 i collegamenti ferroviari lungo la dorsale appenninica erano affidati alla Porrettana, la linea progettata dall’ingegnere francese Jean Louis Protche ed inaugurata nel 1864. Originando da Bologna percorreva inizialmente la valle del Reno per poi inerpicarsi verso Marzabotto, Porretta Terme, Pracchia (il culmine, a 617 metri di altitudine) e, discendendo da qui verso Pistoia e Prato, raggiungeva Firenze: 99 km difficili che mettevano a dura prova uomini e mezzi e, con l’incremento delle necessità di trasporto, insufficienti a garantire un volume di traffico accettabile. La ferrovia esiste tuttora – notevole esempio di ingegneria – spesso minacciata di soppressione e da tempo relegata ad un traffico locale.cv-2016-09-09-ca-di-landino-008Nel 1919 iniziarono i lavori per realizzare una ferrovia dal tracciato meno tormentato che in tempi accettabili collegasse Bologna con Firenze: la cosiddetta Direttissima, inaugurata il 22 aprile 1934 alla presenza di Re Vittorio Emanuele III ed in assenza di Benito Mussolini, sembra perché indispettito dal fatto che l’inaugurazione non fosse stata stabilita per il giorno 21, celebrato dal regime come “Natale di Roma”.cv-2016-09-09-ca-di-landino-001Il manufatto costituì l’ultimo dei grandi trafori ferroviari realizzati realizzati a partire dalla metà dell’Ottocento.cv-2016-09-09-ca-di-landino-003Il punto nodale della ferrovia è la Grande Galleria dell’Appennino, lunga 18.510 metri ed all’interno della quale vi è tuttora – anche se da decenni disabilitata al traffico – una vera e propria stazione, denominata Precedenze.cv-2016-09-09-ca-di-landino-002Chi fosse interessato ad un approfondimento, seguendo questo link potrà visionare il filmato 22 aprile 1934 – 22 aprile 2014 Cà di Landino, 80 anni della Galleria dell’Appennino, pubblicato il 29 aprile 2014 da Edizioni Artestampa, che documentando le difficili condizioni di vita e di lavoro delle maestranze ricorda i numerosi caduti sul lavoro.
Nella località Cà di Landino, frazione di Castiglione dei Pepoli, vennero costruiti due pozzi inclinati per consentire l’accesso degli operai impegnati negli scavi, nel caso che ci interessa raggiungibili tramite una scala di 1.863 gradini in pendenza del 50%.cv-2016-09-09-ca-di-landino-006Questo campo base, realizzato dapprima con baracche in legno successivamente sostituite con edifici in muratura, era popolato da centinaia di operai e, una volta terminati i lavori, fu utilizzato per ospitarvi alcune colonie estive. Nel 1956 accolse un migliaio di profughi provenienti dall’Ungheria invasa dalle truppe sovietiche ma, nel censimento del 2000, a Cà di Landino risultavano residenti solo una ventina di abitanti e la località appariva già come un villaggio fantasma. Oggi vi risiedono 24 anime: dieci maschi e quattordici femmine.
Cà di Landino sorge a 602 metri di altitudine alle pendici del Monte Gatta ed è frazione del comune di Castiglione dei Pepoli, in provincia di Bologna, dal quale dista 1,62 km, circondata da boschi di faggi e castagni.cv-2016-09-09-ca-di-landino-005Il vecchio villaggio operaio, sempre più esposto alle conseguenze dell’abbandono, presenta tutte le caratteristiche per essere riportato a nuova vita. Discutemmo una proposta in tal senso, supportata dalle necessarie competenze progettuali, dal supporto finanziario e dall’Università di Bologna con l’appoggio della Comunità Montana il 26 febbraio 2013: l’intento era quello di farne un complesso residenziale in cohousing ed un centro per lo sviluppo di attività artigianali con inclusione di portatori di disagio sociale. La proposta rimase lettera morta, sembrava anzi che dessimo fastidio.cv-2016-09-09-ca-di-landino-007Da qualche tempo si parla di recuperare l’antica scalinata di 1.863 gradini, sostituita da un ascensore (quindi a rigor di logica la scalinata non verrebbe recuperata) per accedere alla dismessa stazione sotterranea di Precedenze per salvaguardare la memoria dello spirito operaio e come monumento al lavoro. Si, e una volta arrivate alla stazione le persone che fanno, guardano passare i treni come nel romanzo di Simenon? Dalla tastiera, pensando all’insipienza di certi pubblici amministratori ed a come potrebbe essere più utilmente impiegato il fiume di denaro necessario, stava scappando un vaffa
Fortunatamente i fondi non ci sono, ma intanto il villaggio di Cà di Landino muore nell’indifferenza.
Questo articolo costituisce una premessa.
Desideriamo procedere ad una mappatura dell’abbandono in aree collinari e montane, parametrata alle nostre possibilità e che potrebbe costituire una premessa al recupero di immobili di proprietà privata: rustici e cascine, malghe e stalle, oggi improduttivi e che significano solo un onere in termini fiscali e qualora i comuni dovessero imporre la messa in sicurezza.
Pubblicheremo a breve un questionario, ringraziando sin d’ora chi vorrà risponderci. In cambio della collaborazione offriremo una sintetica valutazione reale dei beni segnalati e, ove ne ricorreranno i presupposti, una breve relazione dove formuleremo ipotesi per un recupero residenziale o per attività agrosilvopastorali senza trascurare aspetti legati alla solidarietà sociale.
Chi, stimolato dalla nostra ipotesi di fattibilità, vorrà ridare vita all’immobile, potrà trovare oltre alle necessarie competenze tecniche anche il necessario supporto finanziario.

Alberto C. Steiner