È evidente che non bevo una Guinness in lattina almeno dal 1989.
Perché sia evidente è presto detto: al supermercato ho fatto inavvertitamente cadere alcune lattine della scura di St. James Gate, udendo un tonfo strano. Raccolgo le lattine con l’intento di rimetterle nello scaffale, anzi di acquistarle visto che la caduta le aveva ammaccate, e, scuotendole, percepisco l’inconfondibile rumore di un oggetto all’interno.
Considero diverse ipotesi: un pezzo di dentiera di un operaio, caduto accidentalmente nella nera mistura, un animale morto, Unabomber che è tornato a colpire… impugno e scuoto altre lattine, stesso rumore soffocato. Propendendo quindi per una sorpresa tipo Kinder non mi resta che appagare la mia curiosità: googlando scopro invece che … dal 1989 nelle lattine si trova una pallina di plastica del diametro di circa due centimetri provvista di un foro del diametro di 0,61 mm, che viene chiamata agente schiumificante proprio perché ha il compito di mettere in movimento le molecole di carbo-azoto che formano la famosa schiuma setosa della birra.Cito dal sito Everything2, dal quale ho tratto la spiegazione: “La birra viene versata nella lattina insieme all’azoto e all’anidride carbonica e, durante il processo di pastorizzazione, l’azoto in soluzione si trasforma in gas aumentando di circa due atmosfere la pressione interna della lattina, costringendo la birra ad entrare nella pallina.
Quando il consumatore apre la birra, avviene la decompressione del contenuto e l’azoto contenuto nello schiumificante si espande proiettando un getto di birra attraverso il foro e, fuoriuscendo dalla soluzione crea uno strato di schiuma simile a quello presente nelle birre dei pub.”
All’apertura della lattina si percepisce nettamente un sibilo da decompressione, ed il liquido affiora al boccaporto con una certa veemenza, in ogni caso non sufficiente perché la birra trabocchi.
Tutto questo è molto interessante, e mi ha fatto ricordare perché da almeno 22 anni non bevo una Guinness: perché non mi piace. Ed ora, con la pallina di plastica, mi piace ancora meno.Se è vero che, a livello mondiale, l’87 per cento delle lattine di bevande viene abbandonato ovunque e non conferito alla raccolta differenziata, la durata pressoché eterna della pallina costituisce un problema nel problema.
Purtroppo è un dato di fatto: ogni minuto vengono gettati milioni di lattine, che non inquinano solamente con la loro presenza e la cui biodegradabilità è misurabile in millenni, ma pur assommando il loro valore intrinseco pochi centesimi, hanno costituito un costo notevolissimo in termini di impiego di risorse all’atto della loro realizzazione.
Tutte le chiacchiere sullo sviluppo sostenibile, che è un bell’ossimoro, sulla decrescita felice e sulla resilienza, non si sa di cosa rispetto a che, si scontrano con l’argomento lattine che, poiché la produzione del loro contenuto è saldamente in mano a colossi che in determinati luoghi non pagano nemmeno l’acqua, viene semplicemente ignorato.
Proviamo a non pensare al prezzo irrisorio che paghiamo per una lattina di Coca piuttosto che di Monster, birra e via numerando ma a parametrarne il costo sostenuto dall’ambiente.
Iniziamo da una miniera di bauxite, attiva 24 ore al giorno: ne ho trovato una in Tasmania, che si vanta di usare torce ecofriendly e di dare lavoro a trenta persone. Per chi non lo sapesse la Tasmania è in Australia e, dopo essere stata chimicamente ridotta e purificata a freddo e a caldo utilizzando una tonnellata di ossido di alluminio per ogni due tonnellate di estratto, la bauxite viene inviata, con un viaggio via mare della durata di un mese, presso aziende specializzate svedesi e norvegesi dove verrà ridotta in billette, o lingotti, che verranno successivamente laminati a caldo sino allo spessore di 3 millimetri ad una temperatura di 500 gradi centigradi, e trasformati in fogli stoccati in rotoli.
Le bobine vengono caricate su un camion e trasferite presso un laminatoio a freddo, dove assumono lo spessore definitivo di 0,3 mm.
I film così ottenuti vengono inviati in ogni parte del mondo ove vi siano stabilimenti per la produzione di bibite in lattina, per essere punzonati, fustellati, piegati e trasformati in lattine.
Queste vengono ripulite dagli sfridi del processo, lavate, sgrassate e laccate e flangiate per la successiva apposizione del coperchio. Vengono infine verniciate e spruzzate internamente con un film protettivo per evitare che certe bevande possano corrodere il metallo.
A questo punto le lattine possono essere pallettizzate e stoccate per l’utilizzo al momento del bisogno, una volta inviate all’imbottigliamento, dove vengono nuovamente lavate ed infine riempite del contenuto.
Una curiosità sul fosforo presente in una certa bibita addizionata con caffeina, la più bevuta al mondo e che costiuisce una vera bomba glicemica: viene prevalentemente estratto negli Stati Uniti, in miniere a cielo aperto attive senza soluzione di continuità, e che sono vere bolge infernali dove lavorano solo latinos ed orientali. Il processo di estrazione porta alla luce anche cadmio e torio radioattivo.
Le lattine riempite vengono sigillate con il coperchio di alluminio, quello che con l’anello di apetura e che in gergo si chiama pop-top, al ritmo di millecinquecento al minuto, ed introdotte nei cartoni stampati delle confezioni, caricate sui pallet ed inviate ad un distributore locale che provvedere alla consegna ai punti di vendita.
I cartoni sono realizzati con pasta di legno, generalmente tratta dalle foreste della Svezia, della Siberia o della British Columbia, e le statistiche ci dicono che, una volta entrata in un supermercato, una lattina viene venduta entro tre giorni, consumata entro due e consegiuentemente buttata.
Morale: la nostra lattina di birra, o della bibita costituita da acqua zuccherata fosfatata, addizionata di caffeina ed al sapore di caramello, costituisce l’88% dei rifiuti di alluminio, difficilmente riciclabile proprio perché buttato per ogni dove.
Le aziende sono quindi costrette, dal tritacarne di consumi sempre più dissennati, inutili e massicci, a ricavare i tre quinti dell’alluminio dal minerale vergine, con dispendio energetico 25 volte superiore a quello del riciclo.
Noi non ce ne rendiamo conto, ma la produzione di un qualsiasi oggetto costa, in termini energetici, dalle 10 alle 100mila volte il suo peso. Per fare due esempi: fabbricare una tonnellata di carta richiede l’utilizzo di 98 tonnellate di risorse, comprese quelle idriche, produrre un litro di succo d’arancia costa l’equivalente di tre litri di idrocarburi e di mille di acqua.
Alberto Cazzoli Steiner
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