Non è necessario aver frequentato il classico per sapere quanta importanza l’Antica Grecia attribuisse all’olio.
I produttori oleari italiani lo sanno bene, e infatti mai come quest’anno hanno intonato un pianto greco. A stretta creditizia e tasse si sono aggiunti maltempo e parassiti: questi ultimi in particolare, essendo cinesi e non avendo nemici naturali, pare si siano mangiati tutti gli ulivi nazionali. Una roba che neanche il Pacman…
E non fa nulla se i produttori di quel fluido che troviamo a tre euro sugli scaffali dei supermercati acquistano la materia prima prevalentemente in Spagna, Marocco, Grecia (non sappiamo se, giusto per retsare in tema, piangendo in ossequio a Cassandra…), Medio Oriente o chissà dove, indicando comunque sull’etichetta “prodotto da olive italiane” o, in un fremito di sensi di colpa?, “europee”.
Intendiamoci: stiamo parlando dei barboni, quelli che oggi si chiamano “Olio del Contadino” e domani “Frantoio di nonna Pina” e nel tempo libero, grazie a commercialisti e politici compiacenti, razzolano qualche contributo pubblico qua e là per poi sparire. Detto in altri termini stiamo parlando di quelli che sputtanano il mercato.
A proposito di sputtanamento: è di questi giorni la notizia che i Carabinieri hanno effettuato numerosi arresti fra gli affiliati al clan Piromalli (‘ndrangheta) che, oltre a chiedere un “contributo” di 50 centesimi al litro a produttori calabresi, siciliani e laziali, spacciava sul mercato statunitense per olio extravergine d’oliva quello che in realtà era olio di sansa – cioè frutto degli scarti di produzione – e che come tale passava la dogana.
La materia prima, di pessima qualità, veniva acquistata a prezzi stracciati in Grecia, Siria, Turchia e le etichette venivano taroccate prima che il prodotto giungesse sugli scaffali di Wal-Mart e altri grandi catene.
Sia chiaro: conosciamo produttori seri, e sono numerosi, che tengono al loro marchio e alla fidelizzazione dei clienti, e che praticamente ogni giorno ricevono la visita dei Nas.
Esaurita la premessa, torniamo ai parassiti: il timore di particolare tipo di mosca che si sarebbe potuta mangiare l’equivalente del 50 per cento della produzione avrebbe costretto ad una raccolta anticipata, roba da stato di calamità. E infatti le richieste sono già partite.
Quello che non hanno fatto i parassiti lo avrebbe fatto il maltempo, con le prime piogge che hanno rovinato le gemme. Risultato: prezzi all’ingrosso balzati all’insù del 64%, e al dettaglio ritoccati almeno del 20 per cento.
Gli italiani consumano collettivamente circa il 20% della produzione mondiale, la Spagna il 16 e gli Stati Uniti circa il 10. Il proprietario di un negozio parigino di generi alimentari italiani ha dichiarato che sperava di ottenere 30mila litri di olio ma, avendone ricevuti solo ottomila, dovrà fare affidamento su rimanenze dello scorso anno per compensare la differenza e assorbire parte dell’aumento dei prezzi. Oh, povero Ciccio!
Nel corso degli ultimi 25 anni il consumo di olio è aumentato del 75% e la domanda ha riguardato particolarmente mercati non tradizionali: incremento di sette volte nel Regno Unito e di 14 volte in Giappone, ha dichiarato Coldiretti, specificando che l’olio italiano è più vulnerabile rispetto a quello di altri paesi a causa di cambiamenti climatici, parassiti e in ragione della morfologia del territorio, che varia dalle colline del Nord agli uliveti del Sud. Ciò comporta per contro il notevole vantaggio di poter vantare circa 400 diverse qualità dai sapori unici derivati dalle combinazioni del terreno.La notizia, rilanciata da AP, l’abbiamo trovata sul Washington Post. Stranamente i media italiani a grande diffusione non ne hanno parlato.
Per concludere: conosciamo alcuni produttori di olio bio, dal Garda al Salento. Appassionati al loro lavoro disdegnano il palcoscenico, e ci hanno dichiarato che anche quest’anno proporranno la loro produzione ai soliti prezzi variabili dai 9 ai 16 euro al litro.
I parassiti? Si, nella norma. Il maltempo? Non peggio del solito. Gli scarti? Al solito: cosmesi, alimenti per animali, compost. Richieste di sovvenzioni pubbliche? Non diciamo cazzate.
Alberto C. Steiner
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.