Quando la segnalazione alla Centrale Rischi è illegittima

Queste brevi note vogliono costituire un’indicazione di servizio a beneficio di chi intende presentarsi al cospetto delle cosiddette autorità – effettive o che credano di esserlo, e in ogni caso sempre più proterve ed arroganti – nella consapevolezza del proprio status di cittadino invece che con il cappello in mano: nella fattispecie oggi parliamo di banche.CV 2016.10.31 Banca 002.jpgChi opera nel comparto agrosilvopastorale, e non è una multinazionale da grabbing-land (pur indossando i guanti di velluto esistono anche in Italia) ma una piccola o addirittura micro azienda che si muove con attenzione all’ecosostenibilità può trovarsi più di altri esposto all’eventualità di dover rinegoziare il credito o l’affidamento ottenuto dalle banche.
Se la banca ha accettato il piano di rientro del debito, ed in particolar modo se la prima rata è stata già versata, non può segnalare il proprio cliente alla Centrale Rischi Interbancaria: in tale circostanza trattasi di un comportamento del tutto ingiustificato e sproporzionato, e ciò a maggior ragione vale se il debito con l’istituto di credito è di modesta entità.
Nel caso di auspicabile denuncia da parte del cliente, la banca non può inoltre far valere il patto leonino di recedere dal rapporto in essere: in tale circostanza è il cliente il solo a poter decidere.
Avremmo potuto far uso dell’aggettivo “mafioso-ricattatorio” in quanto l’eventuale rescissione del rapporto così configurata peserebbe evidentemente non poco sull’azienda nel momento in cui questa dovesse tentare di intrattenere nuovi rapporti con altri soggetti bancari: le banche si parlano, si scambiano informazioni e la nomea di cliente non gradito, guastafeste e fastidioso impedirebbe di fatto all’azienda di aprire nuovi rapporti bancari e di accedere al credito.cv-2016-10-31-banca-001Se vi trovate in questa situazione il nostro consiglio pertanto è: obbligate la banca ad avervi come clienti e fatele le pulci senza indugio, senza sensi di colpa e soprattutto senza ritegno.
E, quando c’è qualcosa che non va, le segnalazioni ai cosiddetti organismi di controllo: adusbef, ombudsman, unione consumatori e pifipifpif inviatele giusto per – come si dice – il punto della bandiera e per far volare gli stracci. Le cose serie fatele invece con Guardia di Finanza e magistratura: c’è sempre una fattispecie penale, dite ai vostri avvocato e commercialista che li state pagando per trovarla. E, giusto per non farvi mancare nulla, pignoramenti ex-articolo 700.
Se ciò che scriviamo vi sembra eccessivo pensate solo al fatto che la banca, con il suo atteggiamento, ha tentato di rovinare voi, la vostra azienda, la vostra famiglia, il vostro benessere psicofisico.
Ma attenzione, se vi viene voglia di dedicarvi alla dentiera del direttore di filiale fatevela passare: è un reato, oltre al fatto che una persona perbene, e voi lo siete, queste cose non le fa.
Ovviamente nulla può impedirvi di narrare la vostra disavventura a giornali, televisioni locali, altri media, o riportarla sui social. Prestando estrema attenzione ai termini che utilizzerete onde evitare di passare dalla parte del torto rimediando una querela e vanificando un lavoro che potremmo veramente definire socialmente utile.
Sul nostro sito partner Consulenza Finanziaria un ottimo articolo a tema leggibile qui, ispirato da laleggepertutti.

Alberto C. Steiner

Incuria del territorio e l’alluvione delle casse da morto

L’amico Lorenzo Pozzi ha pubblicato oggi su Archeologia Ferroviaria l’interessante articolo 8 novembre 1982: l’Italia ferroviaria divisa in due dedicato all’esondazione del fiume Taro avvenuta nella notte fra l’8 e il 9 novembre 1982 e che, letteralmente, spazzò via tre piloni del ponte ferroviario sulla linea Milano – Bologna dividendo l’Italia in due sino alla posa di un manufatto provvisorio ed alla successiva ricostruzione del ponte danneggiato.af-2016-10-20-taro-1982-01Nulla di nuovo, naturalmente. Il disastro del 1982 fu preceduto da quello del 1973 e seguito da quello del 1987, al quale seguirono quello dell’autunno 2000 (questa volta fu il Po) e quello di due anni fa che interessò solo marginalmente la provincia di Parma, abbattendosi più intensamente su Modenese e Reggiano.
A parte l’alluvione di Firenze del 1966, quelle del Polesine nel 1924 e nel 1951, i disastri in Valtellina nel 1906, nel 1929 e nel 1987, quello nella biellese valle del Cervo e quello in val d’Ossola, quello di Monza nel 2003 e quello… e quello… e quell’altro… e a parte il fatto che da quasi un secolo a Milano ogni volta che piove l’Olona esce e nel quartiere di Niguarda si va in barca, lo stato idrogeologico del nostro Paese gode ottima salute.
Un tempo ero un idealista, successivamente divenni pessimista. Ora, a parte le cose che mi riguardano direttamente, lo ammetto: me ne sto alla finestra a guardare. Tentare di risolvere i problemi di questa baracca che qualcuno insiste a chiamare paese è come insistere nel pestare la testa contro il muro, con l’inevitabile risultato.
Si spendono un sacco di soldi ma non si sa per cosa, visti i risultati. In ogni caso la soluzione non consiste nell’arginare i danni provocati da un abuso del territorio, la soluzione consiste proprio in un utilizzo diverso del territorio, per esempio nella non cementificazione degli alvei, per esempio curando la manutenzione dei boschi, per esempio non abbandonando il territorio a se stesso. Lo so, tutte cose già dette.
Dimenticavo… la storia delle casse da morto. L’alluvione del 7 novembre 1973 colpì molte località delle valli del Taro e del Ceno. Tra queste Bedonia, dove la fuoriuscita di un piccolo rio provocò l’allagamento della parte retrostante di un palazzo storico, area che si trasformò in un vero e proprio lago con quattro metri d’acqua e dove decine di bare fuoriuscite dal magazzino di una ditta di onoranze funebri che nel palazzo aveva sede presero a galleggiare come canoe. Dopo oltre quarant’anni questa lugubre scena rubata all’apocalisse rimane ancora ben salda nell’immaginario dei bedoniesi rimane ben salda, tant’è che tuttora l’evento è ricordato come “l’alluvione delle casse da morto”.

Alberto C. Steiner