Paesaggi lunari tra Matilde di Canossa e la Pietra di Bismantova

Chi intende sfruttare o, come recita il linguaggio giuridico coltivare, una cava deve fra altri obblighi provvedere alla rimessa in pristino, ovvero al risanamento ambientale al termine dell’attività estrattiva. A garanzia di tale obbligo le amministrazioni comunali delle località interessate richiedono una fideiussione di importo pari agli oneri di ripristino. Non è però infrequente che la garanzia venga escussa per inadempienza dell’azienda concessionaria, e non è meno infrequente che la stessa azienda, una volta conclusa l’attività chiuda i battenti lasciando il sito non bonificato.
Uno dei trucchi spesso utilizzati consiste nel trasferire la concessione ad una nuova azienda i cui principali esponenti non hanno, come suol dirsi, nulla da perdere e nemmeno gli occhi per piangere: questa subentra nella facoltà e nei relativi obblighi per poi cessare l’attività, all’occorrenza mediante fallimento, entro pochi mesi dal subentro. La fideiussione risulta generalmente coperta ma se il suo ammontare può essere sufficiente a sostenere gli oneri di rispristino, non lo è per risarcire il danno ambientale.
Certi terreni argillosi presenti nelle province di Reggio Emilia e Modena hanno consentito a partire dai primi anni del secondo dopoguerra l’espansione della locale industria ceramica, che ha avuto un picco a partire dagli anni ’60 del secolo scorso: piastrelle per pavimentazioni e rivestimenti, manufatti decorativi, stoviglie, materiali per impianti elettrici e motoristici hanno visto una produzione a ritmi vertiginosi sino a pochi anni fa.
Oggi la produzione langue, molte aziende hanno cessato o ridotto sensibilmente l’attività e le cave dalle quali veniva estratto il materiale sono state chiuse e spesso abbandonate lasciando insanabili ferite sul territorio e, specialmente nel caso di terreni argillosi, creando le premesse per smottamenti ed altre gravi compromissioni ambientali.rap-2016-09-13-carpineti-008Carpineti, in provincia di Reggio Emilia, è una delle località deturpate: dagli anni ’90 l’estrazione inizia a calare in concomitanza con l’importazione di risorse esterne al bacino reggiano; il calo di richiesta non è dovuto ad una maturata sensibilità ambientale, bensì alla tipologia di prodotto, per il quale l’argilla locale non possiede più idonee caratteristiche.
Alla fine degli anni ’80 nella provincia si contano ancora 78 cave, una minima parte delle quali, nelle zone pianeggianti, forniscono ghiaia e, in quelle montane, materiali lapidei per edilizia. Ma dalla maggior parte, nelle adiacenze del Po, si ricava sabbia e dalle altre argilla: queste ultime sono concentrate fra Baiso, Castellarano e Carpineti, dov’è nata l’industria ceramica locale.
Ancora due anni fa le cave erano otto, tre a Castellarano e cinque a Carpineti e un tempo la tipologia classica era costituita da numerosi impianti di piccole dimensioni, ma oggi assistiamo ad una concentrazione: pochi impianti di notevoli dimensioni. La quantità di estratto ha subito un ridimensionamento: nel 2011 sono stati stimati 75mila metri cubi dalle tre cave di Castellarano (nel 2000 furono 92mila) e nel 2012 110mila dalle cinque di Carpineti (nel 2000 300mila).
Un Censimento delle aree degradate da attività estrattive redatto dalla Regione nell’anno 2000 presenta tuttora la sua validità.
L’argilla è la materia che provoca i maggiori danni ambientali, e la più difficile da recuperare perché tende a trasformarsi in calanco, essendo arida rende difficile la formazione del manto vegetativo in caso di mancato ripristino, portando il suolo al dissesto e ad una potenzialità franosa.
Va detto: una ex-cava non tornerà mai più come prima, perché l’attività estrattiva ha mutato la morfologia. Al massimo si può predisporre, all’atto della concessione come richiede la Legge Regionale 17 del 1991, un buon piano di risistemazione.
L’autorizzazione all’attività estrattiva non può durare oltre un quinquennio, ma può essere rinnovata, e il piano di ripristino deve essere contestuale allo scavo in modo che trascorsi i cinque anni si sia ultimata anche la sistemazione.
Ma la legge venne varata pensando principalmente alle cave di ghiaia e sabbia che, anche se abbandonate, vengono ripristinate entro breve tempo dall’acqua e dalla natura. Per quelle di argilla è tutto molto più complesso: essendo cave montane si scava sempre la stessa area, e chi estrae non può materialmente sistemare contestualmente allo svolgimento dell’attività estrattiva, che ne verrerbbe impedita.
E proprio sull’argilla, poiché gli effetti degli interventi si vedono non prima che siano trascorsi tre anni, è stabilito che successivamente agli interventi le aziende effettuino manutenzione sino alla ricomparsa ed al consolidamento del manto vegetativo.
A Carpineti, dopo numerose proteste, interventi di comitati cittadini, associazioni ambientaliste e magistratura qualcosa si è fortunatamente mosso nella cittadina di 4mila abitanti ai piedi del Monte Antognano che, nonostante lo sfregio ambientale, conserva un suo fascino fatto di importanti vicende e testimonianze storiche.rap-2016-09-13-carpineti-001Posta a 562 metri di altitudine lungo la S.S. 63 del Cerreto, sulla dorsale dei monti Valestra e Fosola e ricompresa fra parte del bacino del fiume Secchia e dei torrenti Tresinaro e Tassobbio, la sua vegetazione è rappresentata prevalentemente da querceti, con tutto ciò che significa in termini di funghi porcini. Sul territorio comunale, che presenta numerosi esempi di borghi arroccati, chiese e case torri di origine altomedievale, si sono succeduti Liguri, Romani, Bizantini e Longobardi.rap-2016-09-13-carpineti-003Ma la località è indissolubilmente legata alla famosa vicenda della contessa Matilde di Canossa: nel castello romanico tuttora esistente ebbe luogo nell’anno 1092 il “Convegno di Carpineti” durante il quale ecclesiastici ed alleati della contessa discussero le proposte di pace di Enrico IV, che subì successivamente la nota umiliazione nella non lontana Canossa.rap-2016-09-13-carpineti-004E nel confinante comune di Castelnovo ne’ Monti svetta la Pietra di Bismantova, il monte che si eleva per 1.041 metri stagliandosi isolato tra le montagne appenniniche e che numerosi studiosi identificano come montagna sacra mediandone la denominazione dall’etrusco man, pietra scolpita, e tae, altare per sacrifici, mentre altri propendono per una matrice celtica data da vis, vischio, men, luna, e tua, raccolta notturna di vischio espressione di un antico culto lunare: Vismentua sarebbe perciò inizialmente divenuta Bismentua e poi Bismantua. Dante la menziona nel Canto IV del Purgatorio: “Vassi in Sanleo e discendesi in Noli / montasi su in Bismantova e ‘n Cacume / con esso i piè; ma qui convien ch’om voli.”rap-2016-09-13-carpineti-005Tornando all’argomento del ripristino ambientale, scrivo di questa località poiché il 6 dicembre prossimo, presso il Tribunale di Reggio Emilia, si procederà alla vendita – sempre che vi siano acquirenti – proprio di una ex-cava: quella denominata Pianella: 188.023 m2 offerti ad una base minima d’asta di 30.938,00 Euro.
I lavori di ripristino sono stati completati solo in parte e l’aggiudicatario dovrà provvedere all’esborso di 66.400,85 Euro per l’ultimazione ed attendere non meno di un triennio prima di poter ritenere il sito coltivabile.rap-2016-09-13-carpineti-002Queste le mie considerazioni tecniche:
La stima del sito è è stata effettuata considerando, come parametri fondamentali le dimensioni e il posizionamento dei terreni, urbanisticamente situati a circa 6 km dall’abitato: formalmente agricoli hanno sufficienti dimensioni e un agevole accesso, ma appaiono di difficile lavorabilità e di scarsa resa.
Tenuto conto che le opere di ripristino sono state eseguite solo parzialmente e considerata l’attuale situazione del mercato immobiliare locale per beni equivalenti e dopo aver analizzato attentamente le compravendite avvenute nell’arco dell’ultimo triennio – numericamente scarse ed economicamente non remunerative – ed averle raffrontate alle quotazioni dell’osservatorio dei valori agricoli medi della Provincia di Reggio Emilia, ho concluso che il più probabile valore sul libero mercato del bene in analisi, stabilito per comparazione, non possa superare 94.000,00 Euro per terreni vincolati da convenzione estrattiva e 21.500,00 per terreni svincolati.
Ritengo inoltre equo ridurre del 35% i valori sopra indicati perché – fermo restando che lo scenario del mercato immobiliare è oggi molto critico e le vendite sono in completa stasi – il bene, in stato di completo abbandono, non è accompagnato dalla garanzia sull’assenza di vizi occulti, non può essere disponibile immediatamente dopo l’acquisto in quanto gravato da tempi e modalità dettate dalla procedura esecutiva e, dopo aver adottato ed eseguito il piano di consolidamento e coltivazione, sarà necessario attendere almeno un triennio per effettuare il primo raccolto.
Le opere necessarie per riconvertire l’odierno incolto improduttivo consistono indifferibilmente nella livellatura delle aree portando le pendenze a livelli accettabili, nel riassetto idrogeologico, nella concimazione e semina dei terreni pianeggianti e semipianeggianti, nell’impianto arbustivo sui fronti di cava non coltivabili che presentano pendenze superiori a 30°.
Alcune opere di ripristino sono state eseguite a regola d’arte ed in modo uniforme, anche contestualmente all’attività estrattiva, su tutta la superficie del sito, mettendo in sicurezza i fronti di cava ad alta pendenza con gradoni a più livelli oltre che ripianando, drenandole, le superfici pianeggianti mediante la realizzazione di argini di regimentazione e canali di scolo per il graduale deflusso delle acque e, inoltre, spargendo concimi naturali e seminando specie erbose per conseguire un ripristino tendente a rimuovere le criticità ambientali: per l’effettuazione di detti interventi l’esborso accertato è stato di € 124.760,25 come si evince anche dal capitolato di progetto e dalla documentazione agli atti dell’Ufficio tecnico del Comune di Carpineti.rap-2016-09-13-carpineti-007Al fine di effettuare una valutazione oggettiva del complesso che tenesse conto anche del valore delle aree coltivate dalla cava e successivamente ripristinate ho suddiviso e classificato le aree in base alla loro evidenza morfologica, riportando le rispettive superfici, che gli interventi di ripristino hanno variato solo in minima parte.
Considerando che le variazioni non si riflettono sulla determinazione del controvalore monetario ho classato tre fasce:
Superficie pianeggiante e sub-pianeggiante: aree poste in corrispondenza dell’accesso alla cava e comprendenti le aie di essicazione ricavate a quote altimetriche diverse per una superficie catastale complessiva di m2 58.108,00.
Superficie in pendenza di circa 30° lavorabili esclusivamente con macchine operatrici: aree di connessione tra le aie di essicazione e contornanti le stesse, già oggetto di precedenti estrazioni e dove oggi può essere rilevato un recupero spontaneo del manto vegetativo, peraltro di modesta entità per una superficie catastale complessiva di m2 21.786,00.
Superficie con pendenze maggiori di 30° gradi: sostanzialmente il fronte di cava orientato a Ovest, unitamente all’adiacente fronte in direzione Nord-Ovest confinante con le zone boscate per una superficie catastale complessiva di m2 79.021,00.
La tabella sottostante riporta sinteticamente le considerazioni economiche pertinenti al ripristino.rap-2016-09-13-carpineti-006La superficie risultante è pari a 158.915,00 m2 ai quali vanno aggiunte aree in fregio e sparse per complessivi m2 29.108,00 portando la superficie complessiva oggetto di esecuzione a m2 188.023,00 – corrispondenti a 64,35 Biolche Reggiane – sulla quale non insistono più i fabbricati rurali tuttora classati in mappe catastali e visure, essendo stati gli stessi completamente distrutti da una frana.
Considerando infine che la prima iscrizione nel RGE, Registro Generale delle Esecuzioni, risale all’anno 2010, che a fronte del notevole impegno economico necessario per il completamento della bonifica sarà necessario almeno un triennio per verificare l’effettiva produttività del capitale impiegato, che il substrato argilloso – anche in presenza di bonifica – non consente l’impianto di colture di particolare pregio se parametrate alle condizioni geomorfologiche e climatiche locali, ritengo che anche in questa occasione la sessione d’asta non vedrà la partecipazione di offerenti.
La mia opinione è pertanto che il controvalore di negoziazione sia sensibilmente ridotto in sede di trattativa a saldo e stralcio con offerenti concretamente motivati, in grado di attendere un triennio e sostenuti dalla possibilità di recuperare le volumetrie abbattute dalla frana.
Solo in questo caso il sito potrà tornare a nuova vita attraverso il suo riuso come residenza agricola, presidio pastorale, fattoria didattica ed unità di trasformazione agroalimentare in possibile quota con un’attività ricettiva di pregio in grado di offrire un plus di servizi di livello alla clientela, eventualmente destinati alla sfera del benessere psicofisico.

Alberto C. Steiner