Per una volta non parliamo di realtà agrosilvopastorali ma di un sito archeoindustriale che per questa circostanza assumiamo come emblema dell’abbandono: Cà di Landino.
Sconosciuto ai più e noto solo a chi si interessa di archeologia industriale e ferroviaria, è un villaggio operaio realizzato a partire dal 1919 per alloggiarvi le maestranze che contribuirono alla costruzione della Grande Galleria dell’Appennino.Fino al 22 aprile 1934 i collegamenti ferroviari lungo la dorsale appenninica erano affidati alla Porrettana, la linea progettata dall’ingegnere francese Jean Louis Protche ed inaugurata nel 1864. Originando da Bologna percorreva inizialmente la valle del Reno per poi inerpicarsi verso Marzabotto, Porretta Terme, Pracchia (il culmine, a 617 metri di altitudine) e, discendendo da qui verso Pistoia e Prato, raggiungeva Firenze: 99 km difficili che mettevano a dura prova uomini e mezzi e, con l’incremento delle necessità di trasporto, insufficienti a garantire un volume di traffico accettabile. La ferrovia esiste tuttora – notevole esempio di ingegneria – spesso minacciata di soppressione e da tempo relegata ad un traffico locale.
Nel 1919 iniziarono i lavori per realizzare una ferrovia dal tracciato meno tormentato che in tempi accettabili collegasse Bologna con Firenze: la cosiddetta Direttissima, inaugurata il 22 aprile 1934 alla presenza di Re Vittorio Emanuele III ed in assenza di Benito Mussolini, sembra perché indispettito dal fatto che l’inaugurazione non fosse stata stabilita per il giorno 21, celebrato dal regime come “Natale di Roma”.
Il manufatto costituì l’ultimo dei grandi trafori ferroviari realizzati realizzati a partire dalla metà dell’Ottocento.
Il punto nodale della ferrovia è la Grande Galleria dell’Appennino, lunga 18.510 metri ed all’interno della quale vi è tuttora – anche se da decenni disabilitata al traffico – una vera e propria stazione, denominata Precedenze.
Chi fosse interessato ad un approfondimento, seguendo questo link potrà visionare il filmato 22 aprile 1934 – 22 aprile 2014 Cà di Landino, 80 anni della Galleria dell’Appennino, pubblicato il 29 aprile 2014 da Edizioni Artestampa, che documentando le difficili condizioni di vita e di lavoro delle maestranze ricorda i numerosi caduti sul lavoro.
Nella località Cà di Landino, frazione di Castiglione dei Pepoli, vennero costruiti due pozzi inclinati per consentire l’accesso degli operai impegnati negli scavi, nel caso che ci interessa raggiungibili tramite una scala di 1.863 gradini in pendenza del 50%.Questo campo base, realizzato dapprima con baracche in legno successivamente sostituite con edifici in muratura, era popolato da centinaia di operai e, una volta terminati i lavori, fu utilizzato per ospitarvi alcune colonie estive. Nel 1956 accolse un migliaio di profughi provenienti dall’Ungheria invasa dalle truppe sovietiche ma, nel censimento del 2000, a Cà di Landino risultavano residenti solo una ventina di abitanti e la località appariva già come un villaggio fantasma. Oggi vi risiedono 24 anime: dieci maschi e quattordici femmine.
Cà di Landino sorge a 602 metri di altitudine alle pendici del Monte Gatta ed è frazione del comune di Castiglione dei Pepoli, in provincia di Bologna, dal quale dista 1,62 km, circondata da boschi di faggi e castagni.Il vecchio villaggio operaio, sempre più esposto alle conseguenze dell’abbandono, presenta tutte le caratteristiche per essere riportato a nuova vita. Discutemmo una proposta in tal senso, supportata dalle necessarie competenze progettuali, dal supporto finanziario e dall’Università di Bologna con l’appoggio della Comunità Montana il 26 febbraio 2013: l’intento era quello di farne un complesso residenziale in cohousing ed un centro per lo sviluppo di attività artigianali con inclusione di portatori di disagio sociale. La proposta rimase lettera morta, sembrava anzi che dessimo fastidio.
Da qualche tempo si parla di recuperare l’antica scalinata di 1.863 gradini, sostituita da un ascensore (quindi a rigor di logica la scalinata non verrebbe recuperata) per accedere alla dismessa stazione sotterranea di Precedenze per salvaguardare la memoria dello spirito operaio e come monumento al lavoro. Si, e una volta arrivate alla stazione le persone che fanno, guardano passare i treni come nel romanzo di Simenon? Dalla tastiera, pensando all’insipienza di certi pubblici amministratori ed a come potrebbe essere più utilmente impiegato il fiume di denaro necessario, stava scappando un vaffa…
Fortunatamente i fondi non ci sono, ma intanto il villaggio di Cà di Landino muore nell’indifferenza.
Questo articolo costituisce una premessa.
Desideriamo procedere ad una mappatura dell’abbandono in aree collinari e montane, parametrata alle nostre possibilità e che potrebbe costituire una premessa al recupero di immobili di proprietà privata: rustici e cascine, malghe e stalle, oggi improduttivi e che significano solo un onere in termini fiscali e qualora i comuni dovessero imporre la messa in sicurezza.
Pubblicheremo a breve un questionario, ringraziando sin d’ora chi vorrà risponderci. In cambio della collaborazione offriremo una sintetica valutazione reale dei beni segnalati e, ove ne ricorreranno i presupposti, una breve relazione dove formuleremo ipotesi per un recupero residenziale o per attività agrosilvopastorali senza trascurare aspetti legati alla solidarietà sociale.
Chi, stimolato dalla nostra ipotesi di fattibilità, vorrà ridare vita all’immobile, potrà trovare oltre alle necessarie competenze tecniche anche il necessario supporto finanziario.
Alberto C. Steiner
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