Bio è morto?

Retrospettiva: nel Veronese, il 26 novembre 2014, la trasmissione televisiva Le Iene smascherò un venditore di ortofrutticoli fintobio ancorché certificati, che non coltivava direttamente come dichiarato ma acquistava al mercato ortofrutticolo, e che non solo non erano bio ma contenevano anzi alcuni tipi di pesticidi comunemente utilizzati in agricoltura convenzionale.
Il fatto non mancò di suscitare scalpore: denunce, richieste di pareri all’AVeProBi, l’associazione veneta produttori biologici, articoli sul quotidiano L’Arena e sui portali green, post e accese discussioni sui social a tema, tavoli quadrati, rotondi e di ogni altra forma aperti e chiusi fino a quando, nello spazio di un amen, su tutto scese il velo dell’oblio.campagna lombardaA distanza di oltre due anni abbiamo deciso di fare una verifica, sia della memoria collettiva sia della qualità di quanto proposto in vendita nei vari mercati locali. Circa alla memoria collettiva il conto è presto fatto: zero. Nessuno ricorda più l’episodio, nemmeno mostrando il video tuttora presente sul sito www.iene.mediaset.it.
Quanto ai mercatini a km zero, sia in quelli promossi da Coldiretti sia negli altri a livello più ristretto, tutti gli operatori hanno tenuto a precisare, ancorché non richiesti, che bio non significa esenzione da pesticidi, perché sia la legge sia le associazioni agricole ne ammettono l’uso. Come si dice: excusatio non petita
È bene chiarire che nonostante le certificazioni Icea, Mipaf e altre che stabiliscono controlli rigidissimi sulle aziende, può sempre esserci il furbo di turno che ci prova, rovinando la reputazione di tutto il settore.
Porto come sempre il paragone dei tassisti milanesi: sono 5mila, e in un ventennio di assidua frequentazione avrò incontrato forse trenta imbecilli o farabutti. Ma questo nulla toglie agli altri che si sono dimostrati sempre all’altezza del compito, e in molti casi simpatici, professionali e gentili.
Tornando quindi al bio, se le aziende agricole tradizionali vengono verificate ogni decennio – ma è una stima ottimistica – quelle biologiche lo sono ogni semestre.
I consumatori hanno quindi, almeno sulla carta, tutte le ragioni per sentirsi al sicuro, tanto più che nel caso di certe cooperative veronesi che raggruppano svariate decine di produttori i controlli vengono effettuati, oltre che sulle imprese, anche sulle cooperative stesse e persino sui distributori commerciali.
Certo, sta ai consumatori dedicare un minimo di attenzione alla presenza della certificazione: sull’etichetta o sul contenitore sono sempre presenti il riferimento all’ente certificatore e l’identificativo dell’azienda controllata. Basta leggere.
Visitare le aziende, conoscere i coltivatori e parlare con loro è inoltre estremamente utile, istruttivo e piacevole: chi non ha nulla da nascondere mostra volentieri i propri campi e parla con orgoglio e passione del proprio lavoro.
Non dimentichiamo inoltre che nel biologico, quello vero, esiste una sorta di rete di autocontrollo da parte degli stessi operatori, che tengono moltissimo a tutelare la propria credibilità: è facile infatti che sia un agricoltore il primo a rendersi conto che qualcosa dal vicino non funziona ed a segnalarlo, dapprima al vicino stesso e se necessario agli organismi di controllo.
Il nostro consiglio per i consumatori è quindi di essere consapevoli e di non andare in giro fideisticamente con la testa nel sacco, nella pretesa che tutto funzioni e che debba sempre pensarci qualcun altro.
È innegabile che esistano coloro che, avendo venduto frutta e verdura per un trentennio, affermino che il bio vero è impresentabile e che sia sufficiente acquistare generi normali e lavarli con i prodotti giusti (diluente nitro?) per mettere in tavola prodotti di prima qualità. Sono i produttori bio ad essere disonesti… Peccato che costoro dimentichino che in Alto Adige, terra delle mele di Biancaneve, fino a non molto tempo fa venivano emesse ordinanze comunali per dissuadere la popolazione ad uscire in certe ore del giorno, esortare a tenere le finestre chiuse e sopratuttto tenere i bambini lontani dai campi.
Il problema del bio, casomai, è il non bio: certe sostanze, complici il vento e gli insetti che non possono essere ovviamente governati, si spargono ovunque contaminando tutto.
Per garantire che non vi siano tracce di fitosanitari sintetici sul prodotto il biologico ha regole precise, ma va detto che non tutti produttori bio rispettano un ideale etico di produzione, specialmente quando, per comprimere i costi e campare, le quantità prodotte assommano a valori industriali. Se il consumatore vuole una produzione artigianale di alto livello la strada è una sola: affidarsi a produttori locali noti, con metodiche documentate.
E, tanto per essere chiari, non credere all’equivalenza biologico uguale salutistico o naturale, non è obbligatoriamente così. Per esempio, i protocolli bio ammettono l’uso del verderame (sostanza altamente irritante per occhi, cute e vie respiratorie) e di alcuni ossicloruri, nocivi per inalazione e ingestione e che, oltre a causare dolori in bocca e nella faringe, nausea, vomito, diarrea con presenza di sangue e calo della pressione sanguigna, sono altamente tossici per gli organismi acquatici.
Il consumatore deve essere consapevole che non può chiedere un prodotto ecologico che costi solo il 10 per cento in piú rispetto a quello convenzionale. Intendiamoci: ciò non significa che il bio debba costare il doppio, anzi.CC 2016.07.08 Bio è morto 003Conosciamo un’azienda ligure di olio bio, la cui esigua produzione è venduta, a 16 Euro al litro, ancora prima di finire imbottigliata. Questi sono i prezzi del bio, piaccia o meno: chi pensa di comprare extravergine a 3 Euro non solo non compra bio, non compra nemmeno olio… Ma anche chi lamenta prezzi a suo dire esosi non compra il bio, si bea di frequentare le boutique biobau ma cerca il tofu, l’amaranto, il kamut (!) e improbabili miscelanee di segatura, non i prodotti seri, che hanno un prezzo di poco superiore al normale.
Indubbiamente il bio costa: energia, impegno e passione a chi lo produce ma le furbate, per chi opera seriamente in un contesto di nicchia, equivalgono al suicidio.
Bisogna prestare attenzione, inoltre, anche ai marchi della grande distribuzione che offrono lo spazio bio, specie nell’ortofrutta: Esselunga, Carrefour, Auchan, Coop per intenderci.
Per citare solo un marchio, sul quale abbiasmo notizie certe: Coop, nonostante i proclami eticosocialbiobau, ritira solo episodicamente dai piccoli produttori locali perchè afferma che non sarebbe in grado di riempire i banchi e garantire le scorte.
È innegabile infine come l’agricoltura intensiva tradizionale sia una delle prime fonti d’inquinamento ambientale a livello mondiale e, come scrivemmo sul blog il 28 maggio scorso a proposito dei numeri dell’agricoltura lombarda, oggi la campagna è letteralmente devastata: sembrano aziende agricole ma sono fabbriche, veri e propri cibifici, con sempre meno produttori ed appezzamenti sempre più grandi a segnare un paesaggio sempre meno umano.CC 2016.07.08 Bio è morto 002Solo ora la maggiore consapevolezza culturale ci consente di uscire, non senza fatica a causa degli errati convincimenti indotti da certo marketing, da un periodo storico durato oltre un secolo e segnato, non solo nell’agroalimentare, dall’abuso della chimica.
Un tempo, grazie alle reminiscenze contadine della maggior parte delle famiglie, gli acquirenti stessi erano molto più informati, ma oggi è quasi utopico pensare – in ragione dello stile di vita forsennato e competitivo nel quale ci siamo ingabbiati – di avere tempo da spendere per ricercare il prodotto giusto e sano: i supermercati, aperti fino a tardi e persino di notte, permettono di andare a fare la spesa ad ogni ora. Il bio, va detto, pur costituendo un buon investimento per chi lo produce e lo commercializza, è ancora di nicchia, e la consapevolezza alimentare è ben lungi dall’essere a livelli generalmente condivisi. Il consumatore del biologico, pertanto, è chi sceglie di investire parte del proprio (poco) tempo in ricercche e acquisti molto più faticosi e laboriosi rispetto all’acquisto compulsivo, superficiale, veloce e ignorante al quale la massa è stata dis-educata, è informato e consapevole, gli sono mediamente note le tecniche produttive, di conservazione e trasformazione. Insomma, è difficile fregarlo.

Alberto C. Steiner